Tenersi aggiornati, per chi scrive, è quasi un obbligo. Direi un piacere, oltretutto. Non si tratta solo di seguire le ultime novità ma, spesso, di ripescare film e romanzi magari non troppo famosi. Da questa ricerca possono emergere autentiche chicche e notevoli sorprese. Suggestioni, storie intriganti che, di certo, sono di stimolo per la fantasia.
Mi è capitato recentemente di visionare due thriller che si potrebbero classificare d’essai, film risalenti agli anni ’60, forse non troppo noti ma realizzati con grande maestria e capacità di cogliere atmosfere e sfumature. Entrambi hanno come tema base - benché sviluppato diversamente - la follia. Altrimenti non potrebbe essere di due pellicole dei primi anni ’60, un’epoca in cui Psycho di Hitchcock aveva cambiato le regole del gioco e ispirato una grande quantità di film che si servivano della follia come meccanismo di base. Tra tante imitazioni non sempre azzeccate, però uscivano anche dei piccoli capolavori che val la pena di rivedere, gustare e, perché no?, studiare per coglierne qualche spunto. Il Maniaco è un film Hammer, curiosamente privo di mostri e classiche atmosfere gotiche.
La spiegazione sta proprio nel suo regista figlio del produttore della Hammer e a sua volta produttore oltre che director dietro la macchina da presa. Michael Carreras non amava i film in costume, i mostri gotici e tutte le atmosfere che avevano portato fortunata alla casa di produzione inglese. Era più affascinato dal thriller, dal terrore assolutamente realistico anche se venato di atmosfere cupe e inquietanti. In questo film della durata di appena 86 minuti, riesce a creare un piccolo capolavoro, ambientandolo oltretutto in Camargue che, pur nel bianco e nero riesce a trovare suggestione e atmosfera. Vi recita Kevin Matthews anche se sul manifesto il suo nome è storpiato in Kerwin Mathews che sarà di lì a poco un ottimo OSS117 Segretissimo.
Qui non è ancora il duro agente segreto ma un playboy che, interrotta una relazione con una capricciosa ereditiera si ferma presso una pensione gestita da una donna matura e affascinante (Nadia Gray) e dalla figlioccia,Annette. Lui sembra attratto da entrambe, ma, alla fine, sembra proprio la più adulta delle due ad avere la meglio. Eppure il giovane intuisce una tragedia che gli viene rivelata a poco a poco e riporta al flashback iniziale. Da ragazzina la giovane Annette (Liliane Brousse) fu testimone di un orribile delitto. Il padre, impazzito per il dolore sequestrò il violentatore, torturandolo e uccidendolo con la fiamma ossidrica. E l’uomo, recluso nel manicomio di Alres, incombe sulla pensione e sui paesaggi circostanti gettandovi un’ombra di paura. Presto Kevin, ormai stregato dal fascino di Nadia, si lascia convincere a fare evadere il marito ormai rinsavito con la promessa che questi svanirà dalla scena lasciandogli campo libero. Qualcosa però non va nel verso giusto e il nostro si trova in una scomodissima situazione con il rischio di finire a sua volta torturato e carbonizzato.
Follia vera o indotta, è questo il meccanismo del film che costruisce con lentezza ma senza mai fermarsi un’atmosfera paranoica irresistibile. Ancor più riuscito è Il delitto della signora Allerson di Robert Stevens che si avvale di un ottimo cast e dei paesaggi irlandesi che hanno sempre una grandissima presa sul pubblico. Qui abbiamo una dottoressa innamorata di un uomo sposato ma condannato da un male incurabile. Cedendo per amore alla tentazione di somministrargli la “dolce morte” Christine viene condannata per omicidio colposo e, all’uscita dal carcere, si trova in una situazione insostenibile. L’unico a tenderle la mano è proprio il pubblico ministero Stephen, uomo ricco ed eccentrico che le offre di lavorare come dama di compagnia per la sua bella moglie. Questa, dopo un incidente in cui ha perso il padre, si trova in bilico tra la malattia e la follia. Presto Christine si trova prigioniera di una vecchia magione pinea di segreti e se il comportamento della bella Liane non lascia dubbi sulla sua instabilità si fa strada nella sua mente (e il sospetto colpisce lo spettatore) che ci sia dietro un complotto ordito proprio dal marito Stephen per far credere pazza la consorte, sbarazzarsene e poi trovare un comodo capro espiatorio nella già condannata Christine. Alcuni bizzarrie inquietanti personaggi compaiono in scena.
La zia smemorata a volte guardiana a volte complice, lo stalliere don Giovanni e infine proprio il padre di Liane che morto non è e, con una serie di finezze che solo il cinema inglese dell’epoca riusciva ad adottare, aveva verso la figlia atteggiamenti men che paterni. Senza svelare l’intreccio e quindi rovinarvi il gusto di recuperare questo film, mi piace sottolineare come la follia, reale o immaginaria, indotta da traumi o da persecuzioni tipicamente umane sia un motore di grande potenza nel thrilling e che, con pochi elementi ben giocati sia sufficiente a creare un’atmosfera da incubo di grande efficacia. Il delitto della signora Allerson si avvale anche di un cast di prim’ordine con Susan Hayworth nei panni della protagonista e di un Peter Finch in gran forma nel ruolo di Stephen. E si segnala la bellezza solare di Diane Cilento che diventerà in seguito la signora Connery.
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