Il delitto non è un’arte né una scienza: è un incidente. Già l’incipit tira a fregarsi le mani anche se Thomas De Quincey e Austin Freeman (per dirne uno) scuotono la testa. Detto da Socrates Smith a suo fratello minore Lex. Single, magro da far paura, antropologo, studioso del crimine, già appartenuto al Criminal Investigation Department, ora collaboratore esperto di impronte e di macchie del sangue. Visita (su richiesta) a John Mandle, ex funzionario di polizia in carrozzella per forti reumatismi (contrasto con la bella figliastra Molly Templeton), che ha una paura terribile (diversi segni evidenti partendo dai sistemi di allarme) letta negli occhi dallo stesso Soc (Socrates). Messaggio luminoso in codice Morse visto dalla casa bianca al di là della vallata “Vieni alle tre querce”. E proprio qui, appeso ad una di esse penzola, ucciso da un colpo di pistola alla fronte, proprio il nostro Mandle.
Difficile farne un resoconto come per altre storie (quelle che ho letto) di Wallace. Solo qualche spunto: impronte da verificare, una scarpa nel fango di Molly che sparisce un paio di volte (in seguito anche un ferito per terra), identità sospette. Aggiungo un diario del morto, quello della ragazza sopracitata, un incendio doloso, un manoscritto importante, un tentativo di strangolamento, una storia passata che si riversa nel presente. Non manca l’aspetto sentimentale con la bella Molly al centro di virile attenzione da parte del vecchio (per i tempi) Stone, amico di Mandle, e il giovane Lex.
Movimento, ritmo incalzante, momenti di pathos e di paura, continui colpi di scena, sparatorie, una incessante fibrillazione con i personaggi che vanno e vengono da tutte le parti (di giorno e di notte) come su un palcoscenico. Prosa secca, essenziale (all’osso), dialoghi martellanti che non lasciano spazio al ciondolar della testa. E con Socrate Smith che tira le fila di una rocambolesca e intrigantissima vicenda. Da leggere con l’occhio vispo.
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