È un poderoso tomo che assembla, per la prima volta in un unico volume, le avventure del sommo vate della letteratura italiana: Dante Alighieri. Non stiamo parlando di una nuova edizione della Divina Commedia, ma della tetralogia scritta da Giulio Leoni per la Mondadori, che ha per protagonista il poeta fiorentino. Nel 2000 il primo romanzo della serie, Dante Alighieri e i delitti della Medusa, ha vinto il prestigioso premio Tedeschi per il giallo Mondadori e ha dato il via alla fortunata serie dedicata a Dante. Leoni ci stupisce tratteggiando con maestria un Alighieri, insolito ai più, dotato di spiccate qualità investigative e di una eccezionale capacità di comprendere a fondo la natura umana. È un Dante che però ci è familiare non appena dalle sue labbra si avverte l’eco delle sue opere e si intuisce la levatura del suo pensiero. Giulio Leoni è uno degli autori italiani più tradotti e conosciuti all’estero. La tetralogia dedicata all’Alighieri è solo una piccola parte della sua produzione, che spazia dal giallo al fantasy, con qualche incursione nel noir.
Da qualche giorno in libreria è arrivato il volume che contiene la tetralogia dei suoi romanzi con protagonista Dante Alighieri. Un'occasione per seguire la genesi di un personaggio complesso. Ce ne parli.
L’idea di affidare a Dante Alighieri il compito di investigatore quasi quindici anni fa. A quel tempo stavo pensando a un giallo storico di ambientazione italiana, che avesse per protagonista un personaggio reale e non fittizio. Volevo che fosse un intellettuale, meglio ancora se dotato di capacità artistiche, perché nella trama che avevo in mente il movente del delitto ruotava intorno a una questione di ordine teologico-filosofico. E per risalirne le tracce occorreva appunto un personaggio dotato di grande capacità analitica, ma anche di grande cultura e soprattutto di esperienza del “male” nella vita dell’uomo. Doveva anche essere un artista, meglio se uno scrittore, perché è la categoria con cui direttamente o indirettamente mi è capitato di avere maggiori rapporti nel corso della vita, e che quindi pensavo di saper rappresentare meglio. D’altro canto però volevo anche una figura attiva, energica, non assolutamente un investigatore da tavolino. Al contrario, i fatti che avevo immaginato comportavano scontri fisici, corse a cavallo, duelli. La scelta di Dante è stata immediata, perché è l’unico poeta italiano, insieme solo per certi aspetti al diversissimo d’Annunzio, a essere contemporaneamente un poeta, ma anche un filosofo, ma anche un politico, ma anche un combattente, un congiurato, un amante. Pare che fosse persino un abile disegnatore e forse anche un bravo cantore. Insomma, la perfezione per quello che avevo in mente. Ma anche una grande occasione per cercare di rendergli omaggio in questi aspetti meno conosciuti della sua personalità.
Il suo Dante è un uomo a tratti bilioso, ma dall'intelligenza fervida e capace di provare emozioni anche violente. Se si pensa alla Divina Commedia, l'immagine di Dante sembra diversa. Com'è riuscito a scavare nel profondo della vita del poeta? Lo stesso si può dire della Firenze che lei racconta: molto diversa dall'immagine stereotipata e fantastica che ne abbiamo noi.
Non troppo, sai? Proprio nella Divina Commedia Dante svela i tratti più interessanti della sua personalità. Bisogna però cercare di leggerla con attenzione, cercando di liberarsi dal condizionamento dei commenti scolastici. Dante non è tanto bilioso, quanto intransigente, però di una intransigenza guidata da una sua morale molto personale. Infatti pur accettando la ripartizione classico-cristiana dei peccati mortali, ha poi nei confronti dei singoli peccatori un atteggiamento molto differenziato. Valgano per tutti gli esempi di Paolo e Francesca, Brunetto Latini e Bocca degli Abati. Tutti e quattro colpevoli di un peccato mortale, ma verso i quali Dante ha una reazione diversissima: di pietosa compassione per i primi due, quasi di affetto per il terzo, di spietata ferocia nei confronti dell’ultimo. Ed è proprio questa duttilità del giudizio morale che, lungi dal costituire un difetto, stacca Dante di secoli dal mondo medievale in cui è vissuto, e ce lo rende amico e contemporaneo. Quanto all’immagine di Firenze che ho cercato di proporre, mi fa piacere che tu abbia notato la sua differenza da quella un po’ da cartolina turistica che tutti ci portiamo dentro: una città solare e armoniosa, sostanzialmente già rinascimentale. Ai tempi di Dante era profondamente diversa, pensa che non c’era nemmeno il Palazzo Vecchio, Ponte Vecchio era diverso e non era nemmeno dove sta adesso, non esisteva praticamente nessuno die palazzi attuali, a parte quello del Bargello ma in forma diversa. In pratica se Dante potesse tornare nella sua città le uniche cose che riconoscerebbe sarebbero il Battistero, la chiesa della Badia e ben poco altro. In compenso non troverebbe più nessuna delle decine e decine di torri che punteggiavano la città, né i resti di edifici romani che erano ancora ben visibili ai suoi tempi. La Firenze di Dante era una città piccola, non ancora cresciuta oltre i limiti della città romana, dalle strade strette e buie, maleolente. Solo una premonizione di quello che sarebbe divenuta.
Messer Durante, ossia Dante, sarà protagonista di altri romanzi? Ha in mente di aggiungere un quinto episodio alla serie?
Sì, ho in mente almeno un’altra storia, che si sviluppa in un momento molto particolare della biografia del poeta. Ci metterò sicuramente mano non appena portati a termine alcuni lavori che ho per le mani – e la penna!
Come ben sa, altri autori hanno scelto Dante Alighieri come personaggio dei loro racconti, anche se non sempre il poeta è protagonista. Cosa ne pensa e come si rapporta ai suoi colleghi?
Veramente non saprei che dirti, ne ho letti solo un paio. A suo tempo mi piacque “In the hands of Dante” di Nick Tosches, dove c’era un bel ritratto del poeta, anche se la storia verteva poi su un tema diverso. Latinamente direi “unicuique suum”, siano i lettori a dare un giudizio!
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