L’ultima tappa di Anthony Berkeley, Mondadori 2013.
Siamo a Londra. Più precisamente in una villa di campagna nei dintorni della città. Grande festa in costume dedicata al delitto, gente vestita da assassino e da vittima. Per completare il quadro sul tetto una forca da cui pendono tre manichini.
La villa appartiene a Ronald Stratton, scrittore di romanzi polizieschi, divorziato e fidanzato con la signorina Lefroy, separata dal marito. Qui c’è anche, come ospite, il nostro Roger Sheringham, criminologo di fama che ogni tanto aiuta la polizia nei casi più spinosi. Fratello di Ronald è David sposato a Ena, personaggio “matto” che si pone al centro dell’attenzione del lettore e di tutti gli invitati: ventisette anni, esibizionista (“Ero un’attrice”, sospira) con la mania del suicidio, non vuole assolutamente che Ronald si risposi, si mette in mostra, si annoia, vuole andarsene dalla festa, non se ne va, se ne va, attacca bottone con lo stesso Roger, “attacca” con il dottor Chalmers. E a lui “Vuoi che mi impicchi?”, “Sì”, le risponde.
E impiccata viene trovata. Sulla forca al posto di un pupazzo. Suicidio o omicidio? Ma la sedia che doveva essere per forza sotto la forca perché non c’è? Ad indagare Roger tra una bevuta e l’altra di birra e l’ispettore Cramer “simpatico, gentile, conciliante” (due figure un pochettino scialbe).
Non posso aggiungere altro. Rilevo solo una iniziativa “particolare” di Sheringham. Congetture, ipotesi, supposizioni, certezze che svaniscono fino allo stupendo finale che scombina tutto.
Da artista.
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