A casa del diavolo di Romano De Marco, time Crime 2013.

Giulio Terenzi, trenta anni, master in economia, laureato con 110 e lode, “fisico di atleta, vestiti firmati e tanta boria addosso”, lavora in banca, si aspetta una promozione e invece viene sbattuto a Castrognano, provincia dell’Aquila a 1328 metri di altezza, abitanti 294. Praticamente in punizione per avere scopato una bella signora, cosa non riuscita al capo Paolantoni livido di invidia. Deve sostituire un certo Rinaldi dal quale riceve alcune informazioni sugli abitanti del paese: gente strana, anziani che scompaiono, nessuno che denuncia e insomma un’atmosfera “malata” in giro.

In concreto: fine drammatica dello stesso Rinaldi stramazzato con la macchina in un burrone, qualche dubbio, incidente o omicidio?; maresciallo Astolfi e brigadiere Papale ad indagare; la bella Assunta, moglie del proprietario dell’unico locale insoddisfatta, e dunque ci sta che nasca qualcosa con il nostro dongiovanni; Albino, ragazzo ritardato che fa strani disegni, tra cui scene di morte e simboli satanici (sembra proprio che ci sia in giro una setta occulta); la baronessa De Santis sempre dietro la finestra e suo nipote Corrado che opera prelievi consistenti dal suo conto bancario.

Ricorrente il tema dell’amore e della donna, dubbi, inquietudine, mistero, superstizioni, false piste, un po’ di sesso che fa sempre bene.

Una scrittura pulita, scarna, essenziale, qualche spunto in dialetto abruzzese a renderla più viva. Un libro senza tanti ghirigori, strapazzamenti di parole, frasettine in corsivo e frasettine brevi che saltellano per ogni dove come scimmie impazzite. Prima parte lenta e avvolgente (la migliore), seconda più spedita con finale a tutta birra e continui colpi di scena e di sorprese (anche troppe) che mi hanno fatto venire il mal di testa.

La verità non è mai quella che sembra. Fino in fondo.