Il respiro del drago di Michael Connelly, Piemme 2013.
Quando si incontrano certi scrittori ci si aspetta sempre qualcosa di più. Come in questo caso. Connelly un mito, Bosch lo stesso. Forse è sbagliato, ma è così. Dunque Bosch è a Los Angeles e la figlia Madeline, tredici anni, a Hong Kong. Ne riparleremo in seguito. Ora occupiamoci, anzi è il nostro detective che si deve occupare di un morto ammazzato. Più precisamente di John Li (sua vecchia conoscenza), asiatico, di circa settanta anni, dietro il bancone di alcolici del suo negozio, tre colpi al petto ma niente bossoli (uno verrà trovato in seguito ma non vi dico dove). Rimasti due DVD dai quali si evince che il morto doveva pagare una tangente alla Triade cinese.
Bosch è tormentato come padre (sente di non avere svolto bene questo compito), sempre attratto dalla ex moglie con la quale resta in buoni contatti, una furia quando deve salvare la figlia presa in ostaggio dalla Triade a Hong Kong. Uomo prettamente di azione “Nessun piano. Entro e prendo mia figlia”. Poco incline a rispettare le regole (ne sa qualcosa l’asiatico sotto interrogatorio), hamburger, jazz, il contrabbasso di Ron Carter, la tromba di Miles Davis e di Tomasz Stanko.
Naturalmente c’è tutto l’ambaradan del thriller in questo libro: le ultime tecniche di rilevazione delle impronte con il potenziamento elettrostatico, i compagni di avventura con i loro problemi personali, i dubbi, i tentennamenti, i ricordi che affiorano, pedinamenti, interrogatori, cazzotti, sparatorie.
La prosa scivola via spedita lungo il viale del dialogo serrato, qualche squarcio di ambiente, qualche spunto personale, il collega che vuole mettersi (pericolosamente) in mostra.
Non so, ma mi pare un qualcosa di letto e riletto e non sono stato coinvolto più di tanto (sarà la vecchiaia). E alla fine un sentimentalismo stereotipato (è colpa mia, no è colpa mia, ma se ti dico che è colpa mia…) che poteva essere svolto con maggiore efficacia.
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