L’ira funesta di Paolo Roversi, Rizzoli 2013.
Avevo lasciato Paolo Roversi a Milano alle prese con il giornalista free lance Radeski con il suo vespone giallo e il Buk Labrador “dagli occhi liquidi” e me lo ritrovo ora in un paesino della Bassa a tirar su un nuovo personaggio, anzi, nuovi personaggi. Intanto il paesino è Piccola Russia governato da incalliti comunisti e composto da una Polisportiva (la Poli), la caserma dei carabinieri, l’ex cooperativa ora in disuso, la farmacia, il negozio di alimentari, un’osteria. Intorno “le fattorie, le porcilaie e i loghini dell’aperta campagna”. A vigilare su tutto il maestoso Po.
Qui abitano le classiche figure di paese che non si sono mosse di un passo insieme a quelle che ritornano dopo tanti anni dall’America o dalla Germania con le loro straordinarie esperienze e i loro mitici ricordi. Qui abitano soggetti strampalati come il Gaggina “un ragazzone di centotrenta chili, alto come un trattore” che va fuori di testa e mette in subbuglio il paese. E qui abita pure Omar Valdes, il comandante della stazione dei carabinieri (quattro in tutto) “carattere ruvido e di poche parole” con la passione spudorata per la pesca, specie del pesce siluro ( vedi “Il male quotidiano” di Massimo Gardella, Guanda 2012), un mostro baffuto pesante anche più di cento chili. Finito lì, il Valdes, “per colpa di faccende vecchie e sepolte”, lui di Cagliari dove vivono l’anziana madre e la sorella. A questi si aggiunga una giornalista che fa le cose sul serio riguardo agli sbarchi e alla vita degli emigranti che arrivano su Lampedusa e come ricompensa viene spedita anche lei nella Bassa (mai dire la verità). Chiaro che nasce qualcosa di friccicarello con il nostro maresciallo che un po’ di situazioni ormoniche fanno sempre bene.
Quando il giallo arriva con l’assassinio di Giuanìn Penna (quello ritornato dall’America), sbudellato da una spada, l’imputato principale sarà il Gaggina che minaccia tutti con una katana da samurai e si è asserragliato in casa con due ostaggi (il giornalista e il regista di paese) e la nonna pluriottantenne prodiga dispensatrice, a suo tempo, di delizie amorose. Ma c’è qualcosa che non quadra in tutta la faccenda e allora si deve ricercare nel passato. E’ lì la chiave di volta per scoprire il movente di un delitto inatteso.
Questo noir un po’ serio, un po’ leggero, un po’ ironico, un po’ grottesco, un po’ pulp, un po’ sociale, si inserisce tra i prodotti genuini di quella banda di mascalzoni (vedi anche “Sugarpulp”) che hanno preso di mira la Bassa con le loro storie strampalate che divertono e a volte (non sempre) fanno riflettere più dei mallopponi seriosamente impegnati. La trama giallistica è fragiletta e risaputa (pure certi personaggi sono gli stessi da una vita) ma quello che conta è il tratteggiare un universo di paese fatto di rapporti consolidati dal tempo, di frizzi, lazzi, battute, prese per il culo, storie eclatanti rimaste nella memoria comune e che riemergono con l’evolversi della vicenda. E insomma il libro va letto con quello spirito goliardico con il quale è stato scritto. Altrimenti cambiate canale.
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