Quando Robert Hultner è venuto in Italia per promozionare il suo ultimo romanzo pubblicato da Del Vecchio Editore ho avuto il piacere di presentarlo durante un incontro con i lettori. Si parlava di La Dea Madrina il secondo romanzo della serie che vede protagonista l'Ispettore Kajetan, ambientato nella Baviera degli anni venti.
Si è trattato di un incontro un po’ particolare durante il quale abbiamo avuto modo di toccare con mano e da vicino quanto storia e finzione si tocchino da vicino e quanto presente e passato siano sempre irrimediabilmente fusi in un tutto unico, così come deve sempre essere per la buona narrativa e il romanzo giallo. Così questo è il racconto di un evento reale con uno scrittore in carne ossa e una vera platea, forse un resoconto diverso dal solito, ma prendetelo così … vedrete che ne vale la pena.
Ecco, lo vedo. Sì è decisamente lui. Proprio come nelle foto. Occhi scuri profondi che lampeggiano sotto le folte sopracciglia ancora nere, dolcevita nero e completo grigio, la barba e i capelli sono sale e pepe, l’aspetto generale severo. Eppure la posa sembra disinvolta, noncurante, sciolta e sotto quelle sopracciglia che, verso l’esterno, si vanno inclinando verso il basso, scintilla qualcosa di malizioso negli occhi. A guardare meglio in effetti i capelli non sono forse negligentemente spettinati, non sembra l’ombra di un sorriso quel bianco rifulgere dei denti, là in mezzo, nascosto tra la barba e i baffi?
Tiene in mano anche lui una copia del libro, ma è diversa dalla mia. Ah, ora ci sono, la sua è quella dell’edizione tedesca. E nella sua lingua, ci spiega l’interprete, l’autore vorrebbe proprio leggere un brano del suo ultimo romanzo, scelto da un capitolo centrale. Si tratta di un dialogo tra un ispettore di polizia e il medico legale, una conversazione che, nel libro, si svolge al telefono e che a tratti prende un ritmo duro e serrato, come un duello a distanza in un film western. I due si confrontano l’un l’altro, quasi misurando le reciproche forze, uno vuol sapere qualcosa, l’altro non la vuole rivelare, uno sostiene di essere qualcuno che non è, l’altro svela il suo bluff, per poi infine capitolare. Ma sotto a tutto questo c’è la stima reciproca di una lunga frequentazione professionale e il profondo rispetto per le intuizioni che, nel corso delle indagini, possono rivelarsi fondamentali.
Sulla platea scende un reverente silenzio, anche leggermente intimorito, perché le parole in tedesco, a dir la verità, scattano come mitraglie, sventagliano tra gli scaffali della libreria Odradek, rimbalzano con un ritmo duro e sferzante, evocando atmosfere da interrogatorio in cella di sicurezza o quanto meno da posto di blocco in mezzo alla nebbia, si è quasi tentati di guardar fuori per verificare se Via dei Banchi Vecchi ha ancora il suo aspetto pacato e sonnolento o se, viceversa, non ci sia in agguato, magari dietro l’angolo, una camionetta di soldati. È che, per quanto sia politicamente corretto far finta di nulla, l’Italia e la Germania hanno un conto ancora aperto e Robert Hultner, che è qui a Roma per la presentazione del suo ultimo romanzo, La Dea Madrina, proviene appunto da Monaco di Baviera, lì ha lavorato presso il Museo del Cinema, lì sono ambientate le sue storie, lì è nato il suo personaggio, l’ispettore Kajetan che si muove in quel periodo incerto che fu la Germania degli anni venti.
Strano, non me lo ricordavo così sferzante, questo dialogo, sarà forse l’incedere idiomatico, eppure ho ben presente il punto del romanzo in cui si svolge e spiego, rivolta al pubblico, che quella dell’intuizione, del sesto senso, del percepire che qualcosa non è al posto giusto, è la quintessenza di ogni romanzo poliziesco che si rispetti, che non bastano indizi e prove o mirabolanti meraviglie scientifiche alla CSI per costruire un romanzo credibile, ma ci vuole ben altro. Verosimiglianza,sopra ogni altra cosa, spessore tridimensionale dei personaggi che, per convincere davvero, devono entrarti dentro, e la giusta ambientazione. Ecco che fioccano allora le prime domande, perché proprio la Germania degli anni venti, per questo e per gli altri romanzi della serie? E Robert Hultner, devo dire con gestualità tutta italiana, forse contagiato dall’atmosfera, si lancia a spiegarci il perché. Come se avesse presentito il soffio gelido che per un attimo ci ha sfiorato le coscienze, racconta che c’è molto di italiano nel suo personaggio così come c’è molto di italiano in quella zona della Baviera da cui entrambi provengono. Le Alpi bavaresi sono proprio come le nostre montagne, la gente e le culture appaiono simili, le tradizioni popolari e contadine tendono quasi a sovrapporsi, così come ci unisce un segreto dolore per gli eventi fin troppo noti che proprio dalla culla della Baviera si sono innestati.
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