Nel frattempo il partito dei cosiddetti “devoti”, bigotti votati a Papa Benedetto XIV, che ha promesso indulgenza plenaria ai fedeli pentiti e ravveduti, avviano consistenti pressioni su Luigi XV perché allontani dalla corte questa favorita così potente, che lo costringe a “vivere nel peccato”. Ma le loro trame non hanno effetto, anzi quando la nuova amante del re, la contessa de Choiseul, rimane incinta, non solo il sovrano non riconosce il figlio, non solo non conferisce alla donna un effettivo ruolo a corte, ma anzi allontana immediatamente da corte lei e tutto il suo seguito, con la rituale elargizione di patenti e donazioni, e conferisce a Madame de Pompadour l’ambitissimo titolo di duchessa. Jeanne-Antoinette ha trionfato sui suoi nemici e non è mai stata più potente.
Così, mentre il re passa disinvolto da amante ad amante, di letto in letto, godendo di avventure sempre passeggere e mai impegnative, tra cui si ricorda la bellissima Marie-Louise O’Murphy di appena quindici anni, la neo duchessa Pompadour da grande favorita, diventa regina di fatto, governando a tutti gli effetti al fianco del sovrano non solo negli affari di corte ma anche in politica, sia estera che interna. È lei che nomina il conte de Coiseul-Stainville quale ambasciatore a Roma, per contrastare il partito dei “devoti” e dirimere la contesa religiosa sorta in quel periodo tra Luigi XV e l’arcivescovo di Parigi, Cristophe de Beaumont. Una questione delicata che per la prima volta vede messa in discussione l’autorità del sovrano di fronte al potere temporale della Chiesa e che si conclude alla fine con il pronunciamento di Benedetto XIV a favore del re di Francia, segnando un’altra vittoria per la duchessa di Pompadour. A questo punto è chiaro per tutti, dentro e fuori dai confini di Francia, che se si vuole ottenere qualcosa dal monarca è attraverso di lei che bisogna passare. Così fanno l’imperatrice Maria Teresa d’Austria e il suo cancelliere von Kaunitz, che è già stato ambasciatore imperiale a Parigi e grande estimatore della Pompadour, quando si tratta di affrontare l’annosa questione del conflitto tra l’impero asburgico e la Prussia di Federico II. Ed è l’abate de Bernis, il tutore affiancato alla giovanissima Pompadour agli albori della sua carriera da Le Normant de Tournehem, a condurre le trattative diplomatiche per il patto di alleanza tra Francia e Austria, firmato il 1° maggio 1756 a Joiy, un trattato forse non molto vantaggioso per la Francia, ma che di certo sancisce definitivamente lo straordinario potere di Jeanne-Antoinette, la vera sovrana occulta del trono di Francia. Il nuovo ambasciatore di Vienna scrive in quel periodo: «Dobbiamo aspettarci tutto. Vuole essere stimata e in effetti lo merita. La vedrò più spesso e più confidenzialmente quando la nostra alleanza non sarà più un mistero. Per quell’epoca vorrei avere delle cose da dirle che la lusinghino personalmente». L’astro della Pompadour non è mai stato così splendente.
Per Luigi XV, sessantottesimo re di Francia, nato e cresciuto all’ombra della figura inarrivabile del nonno, suo predecessore, l’amatissimo “Re Sole” Luigi XIV, non vi è conforto più grande di non dover più occuparsi fattivamente degli affari dello Stato: quando ha un problema, è con la Pompadour che si consulta, quando è in dubbio, è al suo intuito che si rimette. Contrariamente a quanto si pensi, per Jeanne-Antoinette che è regina pur non essendolo, la ragion di Stato e la figura del sovrano sono i soli e veri motivi della sua esistenza. Dopo le glorie e i fasti della corte del “Re Sole”, che da solo ha riportato in auge la gloria di Francia, costruito un nuovo protocollo, riedificato la politica e il parlamento, e trasformato Versailles in una delle più prestigiose corti del mondo, non vi è persona in tutta la Francia che abbia a cuore le sorti dello Stato quanto la neo duchessa Pompadour. Con al suo fianco un debole, incerto, poco motivato e totalmente privo di personalità politica, destinato a subire di volta in volta l’influsso ondivago e interessato di consiglieri o generali, Jeanne-Antoinette ha il duplice compito di tenere asservito a sé l’uomo e di guidare il re.
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