Dopo un matrimonio contratto in giovane età e la nascita di tre figli, Rasputin, che in russo significa “depravato”, abbandona la dura vita contadina e dice addio alle privazioni, iniziando anni di pellegrinaggio. Dapprima si reca a Gerusalemme, poi in Persia e infine nei Balcani.
In questi anni si converte alla “fede” Clisthy praticando ogni tipo di esaltazione e orgia mistica, coltivando l’arte di influenzare la gente con il suo istrionismo e le sue prodezze psicologiche, e raffinando oltremodo la tecnica del plagio, della persuasione occulta e della dominazione psicologica, arti che gli consentono per un lungo periodo di vivere sulle spalle della popolazione incolta, ignorante e superstiziosa, vantandosi di guarigioni e attribuendosi miracoli, mai realmente documentati.
Torna in Siberia accompagnato da una fama di santità, come “uomo di Dio”, fregiandosi dell’appellativo di “Starec”, che in russo significa “monaco e sant’uomo”, e gira di villaggio in villaggio, vivendo presso i monasteri e le congregazioni religiose.
È a quel punto che Rasputin decide, nel 1904, di raggiungere prima Mosca e poi San Pietroburgo, per venire a contatto con le figure più eminenti della chiesa russa. Grazie alle conoscenze di influenti religiosi come Ivan Sergeev di Kronstadt, favorito dello zar, e Il’jodor, vescovo di Caricyn e fautore del panslavismo, iscritto alla loggia nazionalista dei “Veri Russi”, il monaco comincia ad entrare non solo nelle alte sfere del mondo dei pope ortodossi, ma anche in quelle dell’alta società pietroburghese. Nell’esclusivo salotto di Olga Lochtina, moglie di un consigliere di stato, Rasputin viene a contatto con personaggi quali Anna Vryubova, le granduchesse Anastasia e Militza, figlie del re del Montenegro e il granduca Nikolaj Nikolaevic. Da qui alla famiglia imperiale il passo è inevitabilmente breve e naturale.
Soprattutto le donne cadono nella sua rete: le dame dell’impero zarista, ricche e sofisticate, sono subito facile preda di questo contadino istrionico e selvaggio, dallo sguardo folle, dalla statura imponente, dalla personalità magnetica.
La religione che professa, oltre ai riti orgiastici, alle flagellazioni e alle punizioni del corpo, prevede congiunzioni carnali che dovrebbero servire a scongiurare il peccato e a favorire il pentimento.
«Venivano a me perché desideravano avvicinarsi a Dio. Ma la sola strada che porta a Dio passa per l’umiliazione, così le portavo ai bagni pubblici, le svestivo e le ordinavo di lavarsi. Così si mostravano umili al Signore», scriverà in un’occasione il “monaco santone”.
Di salotto in salotto la voce delle sue imprese, della sua santità, dei suoi presunti miracoli giunge fino a corte, dove la zarina Alessandra Fedorovna è fortemente prostrata dalla malattia del figlio, accuratamente tenuta segreta in pubblico per non indebolire il prestigio dello zar Nicola II, con inutili voci sulle precarie condizioni di salute del suo unico erede al trono.
Medici e guaritori, convocati in gran segreto al capezzale del morente zarevic Alessio, nonostante riti e magie, risultano del tutto impotenti nel contrastare questo male che si manifesta con improvvise emorragie ed ecchimosi sottopelle. La Zarina, in un ultimo disperato tentativo, decide di convocare lo “Starec” Rasputin, di cui ha sentito tanto parlare e che ha fama di grande guaritore.
Ed è questa la grande occasione del monaco siberiano.
Rasputin scruta questo esangue fanciullo, abbandonato sulle coltri bianche, attorniato da una folla di personaggi oppressivi e imponenti, inerme e terrorizzato, con lo sguardo tipico dei bambini che ancora non sono diventati ragazzi.
Tenta varie procedure, tese solo a generare confusione, a suscitare fascino e ammirazione, benedice gli strumenti chirurgici dei medici, esegue esorcismi plateali, fa baciare al fanciullo una croce, poi lo fissa negli occhi, gli tiene la mano, si siede accanto a lui.
Diranno che l’ha ipnotizzato, che l’ha guarito imponendogli le mani, si grida al miracolo, e infatti Alessio si riprende, si alza perfino, cammina, l’emorragia s’interrompe, la crisi appare scongiurata.
Quello che accade, in realtà, è semplice, Rasputin riesce a calmare un ragazzo in preda al panico, ne conquista la fiducia, causa un effetto placebo, riesce a rallentare i battiti del suo cuore, fa riaffluire il colore sulle sue guance, conferisce brillantezza al suo sguardo, ridona vigore alle sue membra.
La malattia non sarà mai completamente debellata, ma fino a quando Rasputin riesce a mantenere il controllo sulla psicologia del fanciullo e a debellare le crisi, il suo futuro a corte è assicurato.
Il sovrano, l’onnipotente zar di tutte le Russie, e sua moglie si piegano in ginocchio davanti al “santone” siberiano, gli concedono il pieno potere e fanno di lui lo zar sopra tutti gli zar.
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