Reporter. È questo il secondo tassello fondamentale di questa storia. Un giallo può essere raccontato da diversi punti di vista e la maggior parte delle volte l’autore si pone alle spalle di investigatori (improvvisati e non) o delle forze dell’ordine. Altre volte utilizza l’espediente del reporter. Un uomo spregiudicato, sempre di corsa per inseguire la notizia, pronto ad aggrapparsi a ogni informazione con le unghie e con i denti. Disposto a collaborare anche se sarà il primo a nascondere quanto di prezioso ha scoperto. Non una scelta originalissima, quindi, quella dell’autore, ma che si incastra ancora una volta in quel meccanismo di costruzione di una storia che giustifica ogni decisione che venga presa con criterio e intelligenza. E non è un caso che Katzenbach abbia lavorato come reporter di cronaca nera tra le pagine del Miami Herald. Scrivere quello che si conosce spesso ripaga, soprattutto quando un autore è agli inizi della carriera. Ma scartabellando tra i cassetti della memoria scopriamo che prima e dopo di lui altri hanno fatto la stessa scelta. Già nel 1967 troviamo il romanzo di D.M. Devine, Il segno dell’assassino (The fifth cord), pubblicato in Italia nella collana Il Giallo Mondadori (n. 1023, 1968) e portato sul grande schermo nel 1972 da Luigi Bazzoni col titolo Giornata nera per l’ariete (con Franco Nero e Agostina Belli). E ancora possiamo ricordare Il sepolcro di carta (Il Giallo Mondadori n. 373, 1956) di Sergio Donato, anch’esso divenuto poi un film (anche se non del tutto fedele al romanzo) per la regia di Tinto Brass nel 1966 (Col cuore in gola). Per rimanere in ambito cinematografico è doveroso citare anche Il gatto a nove code (1971) del maestro del thrilling italiano Dario Argento. Chiudiamo questo paragrafo dedicato ai reporter menzionando un romanzo interessantissimo che si ricollega anche al tema dell’estate: La memoria del sangue di Mario Coloretti (Il Giallo Mondadori n. 2462, 1995). In questo romanzo addirittura il protagonista ama rimanere sotto il sole cocente, zuppo di sudore. Un modo per riflettere, un modo per cancellare ricordi dolorosi e concentrarsi su altro.
E poi c’è il Vietnam. La letteratura di matrice americana è colma di romanzi che ruotano attorno alla guerra del Vietnam. Non si contano più nemmeno i numerosissimi film che hanno raccontato il mentre e il poi di quella sanguinosissima e violenta guerra: Rambo, Platoon, Full Metal Jacket. Così sappiano delle difficoltà, delle paure, delle turbe. Affrontando certa narrativa e certa cinematografia sembra che mai una guerra sia stata più cruenta e devastante (per i sopravvissuti, soprattutto) di quella. E così non poteva certamente mancare il Vietnam nel romanzo di Katzenbach. Un modo come un altro per raccontare la follia dell’uomo e giustificare così il perché di tante morti assurde. Ci permettiamo in questo caso di ricordare il romanzo La morte fa l’autostop (There's a hippie on the highway, Il Giallo Mondadori n. 1125, 1970) di James Hadley Chase. Vietnam, ancora una volta come tante altre volte. Alla fine, sembra che sia uno degli espedienti più semplici ed efficaci per raccontare una storia.
Estate.
Reporter.
Vietnam.
Gli ingredienti ci sono tutti. Magari non originalissimi, ma lo abbiamo già detto: non importa il cosa, ma il come. Prendiamo quindi spunto da queste parole introduttive per andare a leggere tra le righe del romanzo Maledetta Estate e del film che ne è stato tratto…
Miami, quindi. È qui che ha inizio la maledetta estate di Malcom Anderson, reporter del Miami Journal. Tutto avviene con il ritrovamento del primo cadavere, in modo diretto, quasi a stabilire un contatto con il lettore e fargli sapere che sarà una lunga storia. E che scorrerà molto sangue:
Un corridore trovò il corpo della prima vittima nei pressi del tredicesimo green.Semplice e diretto. Arriva quindi la polizia e il solito sciame di fotografi e reporter. La ragazza uccisa era sparita da alcune ore. Adesso giace abbandonata in un campo da golf, con le mani legate dietro la schiena e il cranio maciullato dal colpo micidiale di una. 45. Nessun segno di violenza sessuale.
Malcom Anderson, seguito come un’ombra dal fotografo Andrew Porter, inizia così il suo lavoro. Vuole rimettersi subito in moto, nonostante sia appena tornato dal funerale dello zio. Il fratello del padre è morto suicida. Forse non era stato in grado di combattere tutti i fantasmi di una vita dura, come spesso lo è quella di un marines. Lacrime e dolore, al funerale. Poi la necessità di rimettersi a correre dietro la notizia, il metodo migliore per dimenticare tutto e risollevare la testa.
Per Anderson è un lavoro come un altro. Forse solo un po’ più macabro. Ma è proprio attraverso la sofferenza degli altri che costruisce i suoi articoli. Dalla incredulità di un padre che viene accompagnato dagli angenti per l’identificazione del corpo. Dall’atteggiamento nervoso e colmo di speranza di una madre che sfoglia album fotografici in attesa di una telefonata alla quale non vorrebbe mai rispondere. Mentre Porter ruba la privacy di quel dolore intimo, Anderson prende appunti, fa domande che scavano negli affetti. Cerca il tono del suo articolo. Un articolo che parlerà di una ragazza morta e del dolore di una madre che fino all’ultimo momento ha sperato che la vittima non fosse la propria figlia. Benché questa fosse sparita la notte prima senza lasciare tracce.
Così la morte della ragazza diventa un ottimo articolo e la vita stravolta di una famiglia normale si trasforma in qualcosa di incredibilmente tangibile per migliaia di persone. Paura e sospetto. Nessuno è immune, lo dirà più avanti anche l’assassino. Nessuno. Si respira questo nell’aria, il giorno dopo il ritrovamento del corpo. Miami è una città spaventata. E il caldo è ancora più soffocante
È una telefonata a cambiare il corso degli eventi, a strappare Malcom Anderson dal suo torpore. È in redazione quando il telefono squilla e il suo punto di vista sull’omicidio cambia improvvisamente:
— Salve — disse una voce all’altro capo del filo. — Volevo solo dirle che sto seguendo i suoi articoli sull’omicidio. Sono molto interessanti.
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