La cavalcata dei morti di Fred Vargas, Einaudi Stile Libero Big 2011.

Fred Vargas ha sfruttato in questo libro tutta una serie di spunti e strategie di lavoro tipici del romanzo poliziesco. I principali:

1) Inizio intrigante (l’esca).

2) Il fantastico che viene dalla storia.

3) L’indagine parallela.

4) Adamsberg e la sua squadra.

5) Il suo rapporto con il figlio.

6) Il passato tremendo che ritorna.

7) Il segreto inconfessabile di una famiglia.

8) Le false piste.

9) Un po’ di sentimento: l’amore per gli animali (episodio del piccione torturato)

10) La conclusione finale con il solito trucchetto acchiappa assassini.

Inizio intrigante. Una vecchia morta a bocca spalancata sul letto e una scia di bricioline di pane che dalla cucina arrivano fin sulle lenzuola. E il nostro commissario Jean Baptiste Adamsberg a rimuginare su questo piccolo, stuzzicante dettaglio. Pure un tipo strambo, il marito, campione di parole crociate che si crede un furbone. L’”esca”, per il lettore, funziona.

Andiamo avanti. Una signora, la vedova Valentine Vendermot, madre di quattro figli, tre maschi ed una femmina, denuncia con evidente terrore la scomparsa di Michel Herbier, un uomo odiato da tutti. E qui viene fuori l’altra “esca” (in senso positivo), cioè una paurosa leggenda medioevale, ovvero quella de “La Caccia selvaggia”, ovvero “La Schiera furiosa”, ovvero “La Masnada di Hellequin” che imperversa sul “sentiero di Bonneval, nella foresta di Alance” e ghermisce i farabutti che fanno una brutta fine, una “schiera morta mezzo putrefatta, urlante e feroce, incapace di trovare il Cielo”. Sua figlia Lina ha visto Herbier insieme ad altri tre lo stesso giorno in cui ha notato pure la Schiera e dunque sarà già morto e gli altri rischieranno la stessa fine. Adamsberg, poiché il capitano della gendarmeria di Ordebec in Normandia, dove si cela il mistero, non leva un ragno da un buco, è chiamato ad indagare al suo posto. Uno dopo l’altro arrivano i morti assassinati: con un colpo di fucile, con l’ascia, con un dardo da balestra ed uno si butta perfino dalla finestra (suicidio o omicidio?).

Indagine parallela a Parigi: viene ritrovata una macchina bruciata con un vecchio dentro, Antoine Clermont Brasseur, una persona importante, un pezzo grosso della finanza. Incolpato Momò Micciacorta, ragazzino dedito a queste attività, difeso da Adamsberg che si è già reso conto di un particolare importante. Momo risolverà il problema del piccione torturato accudito amorevolmente dal figlio del commissario.

Personaggio centrale della storia è, comunque, Adamsberg, una sorta di flemma imperturbabile, perso tra le nuvole dei suoi pensieri, che crede nel suo istinto, nelle sue sensazioni, nelle sue visioni. Un sognatore, insomma, come è stato più volte evidenziato, che ogni tanto viene riportato sulla terra da qualche attrattiva “particolare”, vedi il seno di Lina, che gli ricorda l’enorme fetta di kouglof “morbido e ripieno, col miele, che aveva divorato da bambino a casa di zia Alsazia”. Un fremito, pure, quando indossa una veste attillata. E al sottoscritto ha fatto venire in mente il maresciallo dell’Arma ;;Saverio Bonanno ;;di Roberto Mistretta ne “Il canto dell’upupa”, Cairo 2008. Ad un certo punto, osservando una signora “Con un leggero movimento del bacino, distese il fondoschiena rotondo, Bonanno lo immaginava soffice come un bignè di ricotta e farcì il sedile”.

La squadra dell’Anticrimine con le varie personalità e i vari rapporti. Abbiamo lo scontro tra Danglard, cinque figli che tira su da solo, una enciclopedia vivente (sempre a succhiare vino bianco) e Louis Veyrenc, il “poeta”, di cui è geloso per il suo bel rapporto con Adamsberg; il tenente Voisenet esperto in campi faunistici che legge riviste di ittiologia; il tenente Mercadet che soffre di iperinsonnia; Froissy dedito gli acquarelli; la Retancourt, piena di forza e di iniziativa (e infatti prende una decisione da sola)..

Adamsberg e suo figlio Zerk (si chiama Armel) di 28 anni, incontrato nel precedente romanzo “Un luogo incerto”, Einaudi 2009. Il commissario lo osserva di continuo per conoscerlo meglio. Rapporto che si sviluppa lentamente, forse un po’ fiacco.

Il passato che ritorna terribile: il padre di Lina ucciso con un’ascia, un altro segreto tremendo nella sua famiglia che non si può svelare. Personaggi complessi, strani (uno che parla anche a rovescio), un paese circondato dalla paura, una foto particolare, una vecchia signora che forse ha capito, un cane, cartine di zucchero per terra, le false piste, un trucco ormai risaputo per attirare l’assassino.

Storia che fila via liscia attraverso uno stile “tranquillo”, senza sobbalzi, teso allo sviluppo psicologico e a creare una atmosfera inquietante che non rispetta, però, del tutto le attese. La Vargas ha mischiato il fantastico storico con il pozzo fondo dei segreti familiari, l’approfondimento psicologico con lievi tocchi d’ironia, la forza dell’umanità e della sensibilità con le piccolezze d’animo, l’invidia, la gelosia, l’odio strisciante, la bieca ferocia e la rozza credulità di tutto un ambiente.

E al centro c’è Adamsberg che difende, protegge, accarezza, passeggia, osserva, scruta, riflette, rimugina, capisce, si scuote e…e risolve.

Con l’incedere del racconto si perde un po’ dello smalto iniziale, la conclusione fatica a trovare risposte precise e del tutto convincenti, qualche esagerazione di troppo insieme a qualcosa di scontato che rende meno convincente il libro durante il suo percorso.

Ma si tratta, comunque, di gusto personale e può darsi benissimo, per esempio, che l’”incasinamento” delle storie familiari sia, invece, di indubbia attrattiva per molti lettori. Nel complesso consiglio la lettura.

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