La rubrica è personale e dunque se per una volta vado sul personale spero che mi si perdoni. Soprattutto se il “personale” è incarnato nella figura del nipotino Jonathan. Due anni finiti da poco. Lo vedete con me nell’icona tutto intento a verificare le mie qualità di disegnatore (pessime ma per lui decisamente interessanti, credo…). Io lo chiamo Il “Grosso”, non tanto perché sia un torello, ma nel senso di grande, bel bambino che si intrufola dappertutto. Curioso, curiosissimo. Soprattutto delle cose nuove che fanno rumore. In primis le macchine di cui ha una scorta formidabile di tutti colori. La “macca” blu, rossa, gialla, bianca che tiene abbrancate al petto e mette poi in fila sul divano e guai a chi gliele tocca! Per averne una in prestito o povero nonno o povero nonno da sciogliere il cuore più duro. Il prestito arriva (quando arriva) per un periodo limitatissimo (un secondo?) con un doloroso sospiro, che poi devo rimetterla subito a posto con sua grande soddisfazione esternata da un altro sospiro di natura opposta, una specie di gridolino liberatorio.

Per il trattore e la gru ha una ammirazione sconfinata e può restare impalato ad osservarle ore intere senza battere ciglio e ripetere i loro nomi all’infinito. Attratto in modo particolare dal trattore, noi lo chiamiamo così, che taglia l’erba e dunque “tore ebba” anche quando sono spariti dalla vista e il sole è tramontato da un bel pezzo.

Grande attrattiva pure le penne dai diversi colori che stappa e ristappa in continuazione fino a tingersi le mani grassocce e macchiarsi i vestiti. Ma lui è contento come una pasqua, perché poi deve andare a lavarsele queste mani e con il sapone e l’acqua se la intende che è un piacere. Tutto l’opposto di nonno Fabio che da piccoletto piangeva disperato quando c’era da toccare l’acqua (fredda da morire), e alla domanda di mamma Lionna con che cosa doveva lavarsi “Con l’asciugamano!” rispondeva singhiozzando (a ricordare quei momenti mi vengono i brividi).

Il Grosso è un ometto che caracolla un po’ goffo e si stanca presto. Pigro come babbo Riccardo e nonno Fabio. Non per niente siamo nati tutti e due il primo maggio, festa dei lavoratori. Lui il venti aprile e ci è mancato poco. Pigro ma osservatore attento e scrupoloso. Quando guido ogni tanto arriva il suo richiamo “Tento nonno macca!”, ovvero “Attento nonno alle macchine!”, il che mi fa supporre che non abbia troppa fiducia nelle mie capacità di autista e questo un po’ mi deprime.

Il Grosso è un divoratore nato. Mai fatto storie sul cibo, questo sì e questo no, e la sua piattata di roba non ha nulla da invidiare a quella di un adulto. Composto a tavola senza fare tanti capricci basta che abbia sotto mano, o meglio sotto bocca, qualcosa da masticare.

E non la fa lunga nemmeno per dormire. A letto a testa in giù, inizio la storiellina di nonno Fabio e di Jonathan che vanno nella foresta a trovare gli animali, la giraffa dal collo lungo, l’elefante con la proboscide, l’ippopotamo grassone e cacone e lui è già lì che russa come babbo Riccardo e mi immagino le terribili nottate di mamma Fiorella (dormono nella stessa stanza).

Quando arriva Claudia, la mia figliola single (mica scema) di trent’otto anni (ma ne dimostra dieci di meno, e qui mi sono guadagnato il suo amore per sempre), il Grosso entra in una eccitata eccitazione, tanto per sottolineare il concetto. E’ tutto un correre, un fibrillare, un giocare a nascondino e a chiappino con lui che scivola, casca per terra, si rialza (con calma eh…) e via di nuovo a scorrazzare seguito da squittii gioiosi che rimbombano allegri per tutto il palazzo (sei piani).

Se si incavola di brutto sono, però, cavoli amari (appunto). L’ometto diventa il bambino che è e che è giusto che sia. Butta in terra la roba che ha in mano e via dietro la poltrona a spiare la mia reazione. Allora il nonnetto furbetto “Jonathan, dove sei? Jonathan, dove sei?” a voce alta e apprensiva, così l’imbronciato esce allo scoperto per farsi vedere e si rimette a giocare tranquillamente come prima.

Quando è con nonna “Milli” (Milena) ed io sono nel mio studiolo a scribacchiare le solite stronzate ogni tanto sento che mi cerca “Nonno duè?”, “Duè nonno?” che mi procura una specie di groppetto in gola. Con queste righe ho pensato di lasciargli un ricordo, un ricordo di nonno Fabio (l’altro nonno è Enrico che abita a Chieti). Spero che da grande un giorno possa leggerlo e ricordarsi di me.

Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it

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