Definirla Biblioteca sarebbe stato riduttivo:era infatti non solo sala di lettura, ma anche altro e grandi pannelli di quercia rivestivano le pareti. Da un lato vi erano una monumentale biblioteca, zeppa di manoscritti e spartiti e partiture, di tomi e volumi, molti antichi, tra cui molte prime edizioni di opere musicali.Poco distanti due grandi poltrone imbottite ed un divano.Che gelo in quella stanza! Al centro della stanza troneggiava un Bosendorfer del 1860 che pare fosse stato suonato da Liszt e poco distante un piccolo Molitor,un fortepiano napoletano del 1799:lì giaceva il Conte Giuseppe Filippo Maria Ardigò,cinquantacinque anni e centoquaranta chili accasciato sulla tastiera dai tasti di avorio e madreperla,con un foro sulla tempia destra,piccolo e netto ai bordi,da cui era uscito assai poco sangue ormai secco.Non capiva Lessona come il Molitor non fosse schiantato.Notò inoltre come sul leggio vi fosse “

La Fantasia op.18” di Hummel;strano modo di morire,pensò.Notò innanzitutto che la porta d’accesso giaceva quasi scardinata di lato,e nella serratura interna una grossa chiave era infilata.E anche che la finestra sul giardino,l’unica i cui scuri fossero aperti, era spalancata.Sul pavimento,qua e là si notavano piccole macchie che sembravano umide come egli poi riscontrò sul grande tappeto persiano.Il Questore Franchini lo salutò.

-Commissario,mi scuso per averla disturbata,ma l’urgenza e la delicatezza del caso hanno imposto la sua presenza.

-Maresciallo,come si chiama il maggiordomo?.

-Oreste Bontà.

-Allora,appunto quando il maggiordomo Oreste Bontà ha sentito lo sparo,ha trovato la pesante porta,chiusa dall’interno (dal buco della serratura ha visto una chiave infilata dall’altra parte) e per abbatterla,non avendo alcuna risposta,ha chiesto aiuto,

-A chi?

-A Giovanni Bruni,nipote del Conte,al prelato Padre Girolamo Ardigò, fratello del morto,e al Capitano Piacentini,suo amico,che erano in casa ospiti.Inoltre.. è un suicidio anomalo:niente foglietto di addii.

Lessona si mise al lavoro: fece entrare Don Ardigò, fratello del defunto per informarsi su una possibile depressione o su eventuali accidenti che avessero potuto influire su un tale insano gesto. Il prete era provato e piangeva,e non sapeva darsi pace per la dannazione eterna del fratello.Asserì che l’umore del fratello nonostante il cuore facesse talvolta le bizze,era buono e che le condizioni economiche erano ottime.Volle vedere la salma:si curvò e quando si rialzò aveva un’espressione curiosa sul volto.

-Commissario, dove è stata trovata la pistola?

-Sul pavimento vicino allo sgabello, a destra.

-Strano.

-Perché strano?,domandò Lessona.

-Perché era mancino.

Questa sì che era una novità. Il maresciallo Ottone intervenne fissando il commissario che era diventato livido.

-Che significa?

-Non lo vedi Achille? Non è un suicidio, è un omicidio.

-Omicidio?Commissario,ma non può essere.Non vede l’ostacolo?Se fosse stato omicidio,dove sarebbe andato a finire l’omicida?Dopo due-tre minuti dallo sparo,chi è entrato ha trovato la stanza vuota,con la porta chiusa dall’interno, e sotto la finestra aperta,un manto intatto di neve senza impronte.

Lessona se ne rendeva conto,ma di un delitto si trattava:non c’erano dubbi.Bisognava capire come fosse potuto uscire l’assassino in due minuti da una stanza si può dire ermeticamente chiusa,perché la neve compatta e priva d’impronte costituiva un ostacolo insormontabile.Inoltre c’era da considerare che il foro alla tempia destra era netto,senza bruciature:come poteva il suicida essersi puntato la pistola alla tempia sparandosi a bruciapelo e non portare su di sé segni di bruciature intorno alla ferita?E poi su una tavola, che era accostata alla parete di fronte a quella occupata dai libri,si trovava un’oca perfettamente cotta e non toccata,una bottiglia iniziata di Barbarossa,un bicchiere di color verde colmo di vino,e un piatto bianco di porcellana bianca perfettamente pulito.Tutti segni,pensò Lessona,che mal si adattano ad un suicida,gaudente come Ardirò: prima di uccidersi avrebbe sicuramente fatto la festa all’oca e bevuto il Barbarossa.Per quale motivo,sennò,l’avrebbe stappato?E poi che oca… Lessona,si avvicinò.Notò che era perfettamente rosolata,e fasciata con fette di pancetta.

Si ricordò di quando bambino,alla sua tavola desinava di domenica il curato del suo paese natio, e i suoi genitori gli destinavano il succulento “boccone del prevosto”,quel pezzo di carne, pelle e grasso del pollo dove sta l’attaccatura della coda, ben rosolato che si scioglieva in bocca;e tante volte aveva invidiato il curato che mangiava alla loro mensa.Che gaudente l’Ardigò!

Notò anche una stranezza:accanto alla tavola vi erano due sedie,che poi riscontrò appartenere al novero di quelle presenti nella Sala da pranzo,ma che sedie! Due troni di noce,comodi ma pesanti.