Il 4 luglio 2009 si è tenuto all’Università di Hull, in Inghilterra, un convegno molto interessante, dal titolo “Arthur Conan Doyle and Sherlock Holmes: Their Cultural Afterlives”. Motivo del convegno il 150° anniversario della nascita di Conan Doyle. La parola-chiave del titolo, afterlives, riporta al fenomeno della persistenza culturale (letteraria, cinematografica, mediatica) di Sherlock Holmes anche nella nostra epoca. Significa infatti “dopo vita”, ovvero l’aldilà, la vita dopo la morte. Una morte che, nel caso di Sherlock Holmes, non c’è mai stata.
Il convegno ha visto riuniti personaggi molto conosciuti quali Clive Bloom e Andrew Lycett, autori rispettivamente di Bestseller: Popular Fiction since 1900 (2008) e Conan Doyle: The Man Who Created Sherlock Holmes (2007), e professori provenienti da varie università inglesi, europee ed americane. I temi trattati hanno toccato la guerra in Iraq e in Afghanistan, gli apocrifi, i nazisti, gli illustratori, il cinema e i videogames, la scienza e l’occultismo, l’intertestualità e le scienze forensi. Sono emersi molti argomenti e molti punti di vista estremamente interessanti e innovativi. L’Italia ha fatto la sua figura con ben tre interventi: oltre alla sottoscritta (Un. Urbino, l’unico ateneo italiano presente: intervento di prossima pubblicazione nel sito di Uno Studio in Holmes), Claudia Capancioni (Unn. Lincoln: intervento su Joyce Lussu) e Bran Nicol (Un. Porstmouth: intervento su Umberto Eco).
Vi porgo fin d’ora le mie scuse perché, trattandosi di un’organizzazione a sessioni parallele, e non possedendo io (a differenza del Nostro) il dono dell’ubiquità, il mio percorso è stato giocoforza parziale. Le notizie che seguono sono tratte dai miei appunti, e pertanto non sono complete. Darò comunicazione al sito al momento della pubblicazione degli Atti.
Partiamo con la Keynote Lecture 1, ovvero la conferenza d’apertura del professor Clive Bloom (“Holmes is where the heart is”, ovvero “Holmes è là dove c’è il cuore”). Le considerazioni più salienti riguardano il rapporto fra letteratura e scienza: per Bloom Arthur Conan Doyle è dietro Freud così come Freud è dietro Jung. Il professore ha sottolineato la centralità della psicoanalisi tra 800 e 900 dichiarando che dietro al metodo scientifico c’è spesso il metodo delle humanities. Ancora, ha evidenziato come la fortuna di Holmes fu dovuta anche al fatto che in quel periodo si assisteva alla trasformazione dell’outlaw (il criminale) da figura eroica e romantica, ammirata dai lettori, a figura immorale e antisociale. E Holmes venne a identificarsi non tanto con la Legge quanto con la Giustizia. Fu un eroe super partes. D’altra parte, Holmes è legato anche a una sensibilità decadente e quasi moderna, alla crisi esistenziale che si accentuerà nel 900, come si può evincere dalla frequenza del travestimento che oltre a essere una strategia è anche il sintomo di un malessere dell’identità. Infine, grazie al processo di emulazione e di mutazione a cui è stato soggetto nel corso del tempo, e che lo ha reso immortale e ubiquo, rappresenta il prodotto più tipico della “mass industrial fiction”, la narrativa industriale di massa.
Amanda Field (Un. Southampton, UK) ha parlato della transizione dallo scenario vittoriano alla realtà storico-culturale del 20° secolo, concentrandosi soprattutto sui film che escono grosso modo nel periodo della II guerra mondiale (da The Hound of the Baskervilles, 1939, a Dressed to Kill, 1946). A questo proposito rimando al bel libro di cui è autrice: England’s Sacred Weapon. The Wartime Films of Sherlock Holmes, Middlesex U.P., ordinabile in www.mupress.co.uk
Antonio José Miralles Pérez (UCAM, Spagna) si è concentrato sulla creazione da parte di Doyle di un paradigma della mascolinità che tuttora sottende la retorica della guerra in Iraq o in Afghanistan. Nozioni di eguaglianza, libertà, ragione, giustizia, onore e valore hanno formato il “credo” visibile in The Great Boer War, secondo cui i crimini di guerra disonorano la nazione, le guerre non devono essere troppo lunghe, e il nemico va rispettato. Le immagini dei conflitti attualmente in corso, che scorrevano nella presentazione in power point, hanno reso particolarmente suggestivo questo intervento i cui contenuti sfiorano temi drammatici e controversi.
Ellie Hayes (Un. Hull, UK) ha ripreso la metafora dell’ “attic” (la soffitta) per parlare dell’identità e delle connessioni tra corpo e mente nei romanzi del Canone, sottolineando anche i punti di contatto fra medicina e detection, fra sintomi e indizi, fra diagnosi e risoluzione del caso. Ha parlato anche di devianza dalla norma (non convenzionalità di Watson come medico) e della qualità mitopoietica della riscrittura.
Claudia Capancioni (Un. Lincoln, UK) ha parlato di un argomento che a noi italiani è ben noto, Anarchici e siluri di Joyce Lussu, ragione per cui non mi soffermerò più di tanto su questo intervento che pure è stato ottimamente formulato ed espresso, mentre la sottoscritta (Un. Urbino, Italia) ha fatto una panoramica della fortuna di Sherlock Holmes in Italia, suddividendola in 4 punti: il Canone, gli apocrifi, la ricerca accademica, le associazioni e riviste. Sarà presto possibile leggere il testo in inglese nel sito di “Uno Studio in Holmes” www.unostudioinholmes.org.
Bran Nicol (Un. Portsmouth, UK) con il suo bell’intervento dal titolo “Sherlock Holmes in the labyrinth” si è concentrato sull’importanza del lettore nelle detective stories e ha parlato di Eco & Sebeok, Bayard (di cui è uscito recentemente Sherlock Holmes Was Wrong: Re-Opening the Case of the Hound of the Baskerville, 2008) e Borges, ricordando che leggere è sempre una questione di “filling the gaps”, riempire i vuoti. Ha anche ricordato che il 16 ottobre 2002 Sherlock Holmes – “yes, the fictional character”, ha precisato – ricevette una honorary fellowship della Royal Society of Chemistry per il suo contributo alle scienze forensi, e ha mostrato la fotografia della medaglia che fu messa al collo della statua ( ! )
Il pomeriggio si è aperto con la seconda conferenza, tenuta questa volta da Andrew Lycett che ha parlato della scienza e del paranormale in Arthur Conan Doyle ricordando che tali campi del sapere non sono in opposizione ma coesistenti nella sua vita e nella sua opera. Ricorda che la Society for Psychical Research (fondata nel 1882) era a tutti gli effetti un’associazione dedicata all’investigazione scientifica e che Doyle fondatore, tra l’altro, di un “Psychic Bookshop” a Londra) proprio in quanto uomo di scienza non poteva non essere interessato al dibattito sul mesmerismo, sulla percezione extrasensoriale dei fenomeni occulti, sull’effetto del pensiero sulla materia, e su altri fenomeni quali magnetismo, telepatia e livelli subliminali della coscienza. Lycett ha poi ribadito il concetto dichiarando che in fondo la scienza non è che “il consenso di opinione degli scienziati” e definisce Watson un “questioning doctor”, un medico si interroga, che pone quesiti.
David Levente Palatinus (Peter Pazmany Catholic Un., Ungheria) ha portato la discussione sulle scienze forensi e sul serial americano CSI, da lui definito “a semiotic utopia” (utopia semiotica). Interessato all’esplorazione psicologica del crimine, si è soffermato in particolare su un episodio della serie in cui abbiamo una vera e propria ricostruzione dello scenario del 221b e dei personaggi del Canone.
Anche Ingrida Povidisa (Ludwig-Maximilian Un. Munich, Germania) si è focalizzata sulla scena del crimine, citando il National Crime Information Centre (NCIC, US) e ricordando che Sherlock Holmes è molto citato nella letteratura delle scienze forensi.
Sul cinema torna Harvey O’Brien (Un. College, Dublino, Irlanda,) che propone una carrellata delle varie interpretazioni di Holmes sullo schermo (The Classical H., The Skeptical H., The Delirious H., The Impotent H., The Adolescent H., The Miniature H., The Ersatz H……a voi il piacere di indovinare il film più rappresentativo di ogni categoria), mentre Souvik Mukherjee (Nottingham Trent Un., UK) regala – vero dulcis in fundo – l’intervento più innovativo del convegno: nientemeno che Sherlock Holmes “reloaded”, ovvero “plugged in”, ovvero: Sherlock Holmes e i new media. Eroe virtuale da sempre, Sherlock Holmes è più vivo che mai grazie anche a sofisticati videogames (per esempio The Awakened) ma soprattutto i nuovi media possono dare agli studi sherlockiani un nuovo linguaggio interpretativo.
E’ curioso, ma a questo punto non posso fare a meno di rivelarvi che nel prossimo convegno a cui parteciperò (“Narrative Dominions. On Writing the History of the Novel in English”, Londra, 20-22 luglio) il mio intervento riguarderà proprio Sherlock Holmes rivisto attraverso i nuovi linguaggi critici del gaming…
… Siete curiosi? Enquiries: Jon Millington, Events Officer, Institute of English Studies, Senate House, Malet Street, London WC1E 7HU; tel. +44 (0) 207 664 4859 - jon.millington@sas.ac.uk
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