Silenzio, di nuovo. “Cosa significa..?” chiese Nicole con voce tremante.Sorrisero quelle labbra d’uomo, avviluppato dal piacere di capovolgere la ragione, rendendo lasciva ogni virtù e disillusi i vizi. “Il tenere un qualcosa che serva a ricordarti…” recitò lui lasciando sospeso il verso mancante.La ragazza fece suo quel verso interrotto, muovendo le sue labbra di bambina che sa: “..equivarrebbe ad ammettere ch'io so dimenticarti.”
Ed il sorriso s’allargò di piacere sul viso dell’uomo consumato dallo stupro d’ogni vitale bellezza che aveva voluto e preso. “Sì…” un sibilo graffiante. “Ed è qui che nasce il paradosso della mia esistenza..” toccando il proprio addome con la carezza delle unghie curate su mani forti ed assieme eleganti. “L’ho tenuta qui, accanto a me, anche dopo averla lasciata… Questo significa forse averla dimenticata?”.
La ragazza sentì il vibrare delle parole dentro la testa. Non ebbe nemmeno il tempo di pensare. “Co.. Cosa..?”
“Quel libro è rimasto sulla stessa scansia a lungo” continuò lui come se la spogliasse con le parole, iniziando dal collo.
“…quasi da quanto lei è chiusa qui con me… Vuoi vederla?” Non le lasciò tempo di pensare.
“Sono davanti a te” - ascoltò quel silenzio come ne saggiasse il sudore freddo - “Sali al primo piano e guarda dalla finestra a Nord, lei ed io siamo lì. Vieni adesso, se vuoi aiutarla...” Click. La ragazza restò immobile per un attimo infinito. La cornetta veniva staccata dal suo orecchio e, con mano tremante, riposta sulla forcella d’ottone. Solo allora Nicole sentì il proprio cuore impazzito sovrastato dai brividi alla schiena. Cosa doveva fare? Non era nemmeno sicura di aver capito la situazione. Un pazzo che voleva essere guardato oppure fermato o che forse voleva trovare la perversa complicità di un’anima. Un essere instabile o solo un megalomane? In ogni caso, se era vero che quell’uomo si trovava nella casa lì davanti, non avrebbe corso nessun rischio salendo al primo piano della vecchia biblioteca e restando lì protetta e celata ad osservare. Prese con sé sia il libro che il biglietto e salì le scale con passo veloce e leggero. Entrò in una stanza quasi totalmente buia, dove una delle finestre era spalancata e protetta da tende svolazzanti. Si avviò in quella direzione. Posò il libro su una vecchia scrivania continuando a stringere il biglietto nella mano sinistra. I suoi occhi scrutarono il palazzo che aveva davanti, un piano alla volta, in cerca di qualcosa che ancora non trovava. Assorta in quella nervosa ricerca non diede importanza al pavimento di legno che rumoreggiò alcuni passi più indietro, come non ne diede al leggero cigolio della maniglia quando la porta venne richiusa alle sue spalle.
“Sapevo che saresti venuta”
Quella voce nella penombra la riempì di paura. Si sentì stupida. Si rese conto di essere in trappola. Nicole si girò di scatto col cuore che le scoppiava. Davanti a lei solo una sagoma, silenziosa ed immobile.
“Chi sei?” chiese senza riuscire a trattenere le lacrime.
“Non ha nessuna importanza. E lo sai.”
Fece una pausa e poi proseguì: “Sono un’ombra. Sono la paura che non puoi controllare. Sono il desiderio che non riesci ad esprimere. Sono un essere che ama quello che ami tu”
“Voglio andare via” urlò la ragazza. L’uomo fece alcuni passi verso di lei ma Nicole, come paralizzata, non indietreggiò. Ora poteva vedere distintamente il profilo del suo corpo, le spalle larghe, i capelli scuri spettinati. Il suo sguardo invece era ancora celato dalla penombra.
“No, tu ora resterai qui e mi ascolterai. E’ da troppo tempo che aspetto. Ho nascosto i mio dolore in un vecchio libro che poteva non essere mai trovato. Tu hai ridato vita a quel dolore e adesso ti appartiene…adesso dovrai condividerlo con me”
“Lasciami andare” diceva lei… però non accennava a muoversi. Distanze che s'assottigliavano con la rapidità della marea che incede. Mani che non la toccavano ancora… bastava la sensazione della totale impotenza della ragazza a deliziare il narcisismo di Francesco. Ancora buio in quegli occhi. Buio in cui un doppio bagliore riflesso andava a dipingere macchie di luce.
“Fermami… prima che io dimentichi anche te”
Udendo quelle parole Nicole si sentì perduta. Non urlò. Non si mosse. Sussurrò soltanto “Lei dov’è?” mentre sentiva la lama del coltello premere delicatamente sul suo collo.“Dove è sempre stata” rispose lui guardandola nelle grigie perle macchiate di buio “davanti a me”. La lama scivolava mischiando il freddo del proprio filo con gocce calde rubate al battito di quella vita… "fermami ora o continuerò per sempre..." disse premendo quell'arma contro la sua pelle, all'unisono con la pulsante pressione del proprio malato desiderio contro il suo bacino. Fu in quell’attimo che la mano sinistra della ragazza trovò la finestra, i suoi occhi s'illuminarono mentre il dolore s'acuiva. Appallottolò il biglietto e lo lanciò nel vuoto."Non mi serve tener nulla di te…"
Fu allora che lui si fermò. Nicole avvertì che aveva allentato leggermente la presa. Afferrò la mano che impugnava il coltello e, trattenendola, gli sussurrò: “Non voglio che ti fermi, devi andare fino in fondo”. Francesco gettò a terra il coltello “Maledetta… Non è così che doveva andare”
Nicole lo raccolse, ancora ricoperto dal suo sangue, si rialzò e ferì leggermente una spalla dell’uomo, con un movimento lento, come penetrasse la carne viva di un amante casuale di cui mai aveva scorto il viso. “Ora il mio sangue è mescolato al tuo” un passo e fu ad un respiro da lui ”Ora siamo la stessa cosa. Dimenticami adesso, se puoi”
Rabbioso e rapito lui urlò “Non posso, maledetta!”
Punte dei piedi di Nicole a levarla verso la sua bocca, occhi fatti di quella dolcezza pronta ad accogliere e a curare l'amore, labbra che con tono vellutato sanciscono il pensiero come un marchio sulla pelle “Io, sì...”
Il secondo colpo che inferse fu rapido ed inaspettato. Lui rimase a guardarla con gli occhi sbarrati ed il coltello piantato nel petto. Nicole non pianse, neanche quando, un attimo dopo, frugò nelle tasche dell’uomo per cercare la pagina mancante. La trovò, la strinse forte fra le mani e, sporca di sangue, la ripose nel libro.
Fine
(William Shakespeare, Sonetto 122)
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