Il dono tuo, il quaderno, è dentro la mia mente

scritto tutto in memoria imperitura,

che assai più durerà di quelle vuote pagine,

oltre ogni termine, fino all'eternità.

O almeno fino a che la mente e il cuore

avranno da natura la facoltà di esistere,

finché al labile oblio non daran la lor parte

di te, il tuo ricordo non potrà cancellarsi;

quei miseri appunti non potrebbero tanto contenere

ne' mi occorre un registro per segnare il tuo amore;

per questo ho osato dar via il tuo quaderno,

fidando invece in quello che meglio ti riceve.

 

Il tenere un qualcosa che serva a ricordarti

equivarrebbe ad ammettere ch'io so dimenticarti.

 

(William Shakespeare, Sonetto 122)

Nicole era uscita di casa per perdersi in un altro tempo. Aveva lasciato i capelli liberi in un liscio e  castano ondeggiare sul maglione verde chiaro che copriva la vita dei jeans attillati. Le scarpe da tennis bianche erano già macchiate dalla pioggia che litigava con l'asfalto quando salì i gradini in marmo della vecchia biblioteca e ne spalancò il ruvido portone in legno. La porta che le si chiudeva dietro aveva sempre lo stesso docile cigolio, lento, gentile, come un abbraccio che sa chiudere fuori il mondo e non appena cessava la luce mutava in un arancio cupo intriso di velluto a rendere indefiniti gli spazi. Passò accanto al registro degli ingressi, firmando la sua presenza su quel libro dalle pagine ruvide che pareva esser sempre lo stesso del primo giorno. Non si fermò a cercar la collocazione sulla tabella. Pensava di trovare il libro nello stesso posto della prima volta. Voleva trovarlo lì. Occhi grigi a dar attenzione al bordo dei volumi. Dita eleganti che si levavano a cogliere quel libro più sottile. Il tocco, fu il primo contatto. Chiuse gli occhi nell'aprirlo levandolo al viso, aspettando che l'odore delle pagine arrivasse assieme al profumo delle parole scritte. Un lungo istante, poi aprì gli occhi. Eccoli, disarmanti come allora nella loro reale bellezza. Quattordici versi in lingua anglosassone antica, da far suoi come la pelle di un amante sempre uguale ad una differente parte di lei e mai uguale a sé stesso. Occhi famelici di quelle sensazioni che le parole solo raramente sanno tradurre. Ed era così in quel momento, ed era così di nuovo, dopo tanto tempo. Poi, un'interruzione inattesa. Da 121 a 123. Sfogliò la pagina successiva, per poi tornare indietro con impazienza. Vi era solo il segno dello strappo, a ricordare il sonetto 122. Al suo posto un biglietto: dodici versi scritti a mano. Una sensazione di fastidio, quasi rabbia, per la profanazione di qualcosa che tanto amava. Il percorso delle sue pupille seguiva quello delle lettere, facendo sua la scrittura dal carattere prettamente maschile. Senza aspettarsi nulla girò la carta. Un numero di telefono, preceduto da una F maiuscola. Normalmente avrebbe provato indignazione all'idea che qualcuno avesse potuto sciupare l'integrità di un oggetto così carico di bellezza per cercare un assurdo approccio casuale, invece mise in dubbio i suoi preconcetti nel rileggere quel biglietto. Era stato scritto con cura ma mancava degli ultimi due versi…  "Perché…?" Mosse appena le labbra. Non aveva il telefono con sé, eppure sentiva di voler sapere, con la titubante caparbietà di una ragazza in bilico tra il bianco e nero di una giovinezza vissuta con la profondità riflessiva e l'amaro biasimo per la superficialità dei suoi coetanei ed il timore dell'intensità delle parole e delle voci oltre il confine di ciò che si può controllare. C'era un vecchio telefono, un tempo a gettoni, appeso alla parete in fondo all'ultima fila di scaffali. La luce era più fioca in quell'angolo. Non sapeva nemmeno se fosse attivo. Sollevò la cornetta portandola all'orecchio destro. C'era ancora il disco circolare per comporre i numeri. La mano le tremava. Sbagliò il terzo numero. Riappese. “Che sto facendo..?” Si scostò, ascoltando il proprio battito. Scelse di riprovare. Tornare indietro ora con il dubbio avrebbe lasciato troppo vuoto domani. I capelli le coprivano metà del viso. In quell'angolo, era una figura quasi invisibile. Nella sinistra stringeva il biglietto senza accorgersene. Ora, il numero suonava libero.

Uno, due, tre, quattro squilli... Finalmente quella voce. Calda, avvolgente, sconosciuta. Poche parole, distratte. Nicole restò in silenzio, captando ogni sfumatura.

"Allora? Devo riattaccare?" La voce sconosciuta si fece spazientita. 

"Ho trovato il tuo numero scritto in un libro..." riuscì a dire tutto d'un fiato.

Il tono dello sconosciuto cambiò, si fece più pacato, esitante, curioso."Cosa ti ha spinto a chiamarmi?"Nicole non rispose. “Perché l’hai fatto..?” chiese invece dopo qualche attimo di silenzio, con la schiena appoggiata alla parete.

Dall’altro capo Francesco si distese lungo il profilo del divano, mentre il buio lasciava scoperte solo le labbra disegnate e mai completamente serrate.

“La risposta sei tu…”