Procedeva con difficoltà sui sampietrini, erano maledettamente sconnessi, e ciò causava a Massimo una fatica supplementare. Camminando lentamente si guardava attorno, osservava la gente le botteghe, e ne tratteneva il ricordo, come…come se fosse l’ultima volta.
Scacciò quel pensiero molesto affrettando il passo, ormai stava traccheggiando troppo e rischiava di arrivare in ritardo.
I colleghi lo salutarono calorosamente, qualcuno azzardò a domandargli il perché di quell’aspettativa così lunga, Massimo rispose con le solite cose: la necessità di tirare un po’ il fiato, la voglia di pensare un po’ a se stesso, la voglia di viaggiare, fece balenare anche l’ipotesi di una crisi esistenziale.
Parlava guardandoli attentamente uno per uno, per capire se avevano intuito il vero motivo di quella prossima assenza.
La maggioranza delle espressioni dei volti lo tranquillizzò, in qualcuno parve scorgere qualche dubbio oppure…” Mi sa che questo ha capito!” pensò di uno di loro, “Ubbie!” si urlò dentro per far tacere i propri timori.
La riunione si svolse tranquillamente e giunse alla fine prima del previsto. Per evitare inutili perdite di tempo, si era preparato bene ed i colleghi non si erano abbandonati alle frequenti interruzioni che sempre caratterizzavano quegli incontri.
Nondimeno si sentiva stanco, molto stanco “Sarà stato il viaggio, poi la pioggia…” diceva tra sé e sé tanto per rinfrancarsi. Non gli erano state di aiuto nemmeno quelle divagazioni mentali alle quali, per rilassarsi, era solito abbandonarsi durante le riunioni
Il suo pensiero, andava instancabilmente agli immediati appuntamenti che lo riguardavano: la visita preospedaliera, l’incontro con l’anestesista, il ricovero, l’operazione. Oltre non riusciva ad andare, oltre era il grigio.
Al termine, si salutarono di nuovo calorosamente, solo il Berni rimasto in disparte, aspettò che gli altri se ne fossero andati per dirgli, guardandolo con intenzione; “Mi raccomando, non pensare, come sempre, di poter risolvere tutto da solo. Io sono qua. Se ci sono problemi chiama. Gli amici servono a questo.”.
Massimo, per un attimo, fu tentato di aprirsi con lui, quel giorno il peso che stava portando gli sembrava insostenibile. Ma fu un solo attimo. La corazza che si era costruito addosso, gli impedì di aggiungere altro ai normali convenevoli, solo un “Non preoccuparti, non è niente di grave. Passerà, passa tutto nella vita…”.
Guardando l’ orologio, si accorse che aveva tempo sufficiente per recarsi all’ ufficio del personale per prendere gli ultimi accordi “ Visto che sono qui, meglio farlo di persona.” Pensava.
Naturalmente, come spesso accade in questi casi l’impiegato che seguiva la sua pratica era in pausa caffè; decise di imitarlo, in fondo un caffè non poteva fargli male.
Passò dal suo ufficio ed invitò Clara ad accompagnarlo. Non amava prendere il caffè da solo e, soprattutto, non amava farlo con colleghi uomini, li riteneva infatti troppo vanagloriosi, sempre in competizione l’uno con l’altro, fortemente pettegoli “ Sai il tizio pare che…ma pensa quella faceva la santarellina, poi per la carriera ha pensato bene di…”. Con le colleghe era tutto diverso, potevano consigliarsi un libro, o parlare dell’ultimo film o di quella trasmissione televisiva. Ogni tanto qualche carineria. Era tutto molto più rilassante e ciò rendeva ottimo il pessimo caffè prodotto dal distributore automatico.
Ecco cosa gli sarebbe mancato: il rito del caffè. Quelle chiacchiere apparentemente futili, quelle confidenze appena accennate, quella voglia di evasione dal quotidiano che faceva diventare quei pochi minuti il momento irrinunciabile di un’intera giornata.
Il caffè…avrebbe avuto tempo per pensarci…dopo…forse.
Sbrigate le formalità all’ufficio del personale, uscì dall’edificio andando a passo sostenuto verso la fermata della metropolitana; era quasi ora di pranzo, sul viale piccoli gruppi di impiegati si recavano con indolenza verso i bar e le pizzerie a taglio. Massimo aveva deciso di andare al Montenevoso, vicino alla stazione centrale, il ristorante che aveva eletto a propria residenza durante i numerosi viaggi di lavoro. Giorgio, l’oste, avrebbe trovato i cibi e le parole per fargli trascorrere serenamente quell’ultima parte di giornata.
Data l’ora, molte persone erano già assiepate lungo i binari del treno ed altre ancora stavano arrivando. Massimo non ne fu molto contento, ma del resto non c’era altro da fare che attendere per salire sui convogli strizzati come sardine.
Si mise quindi ad aspettare osservando, come d’abitudine, le persone in attesa. Fu così che lo vide.
Era vicinissimo, quasi davanti a sé. Dapprima non ci aveva fatto caso, poi quella nuca, quegli occhialini dorati dei quali vedeva il finale delle aste a molla abbarbicato alle orecchie, quella pettinatura pretesca, quel vestitino grigio a buon mercato, lui, Fiordaliso.
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