Questa volta all’edicola di Siena sono arrivato tardi e presto nello stesso tempo. Voglio dire tardi per acquistare il numero due e presto per acquistare il numero quattro. E dunque mi sono beccato il numero tre. Di che cosa? Ma di “Cornelio”, benedetti ragazzi! Però mica ci sono rimasto male perché fin dal titolo “Technozombie” e dalla copertina è tutto un programma con il nostro Cornelio-Lucarelli circondato da una massa paurosa di morti viventi. Ben gli sta che si mette sempre nei casini. E ben gli sta che da autore di successo almeno nella vita fittizia gli succeda qualche brutta avventura. Ovvia!
Allora bella copertina e qui ci siamo. Passiamo alla storia. Per modo di dire che è complicatina. Mi limito a qualche spunto e poi leggetevela. Discoteca “Technozombie” con una gnocca stelle-poppe che si fa due giovanotti. Una radio “Bellablù” condotta da Maia ex poliziotta. Due ragazze uccise davanti ad un cimitero. Segni particolari morsi. Un Dj che uccide la sua ragazza. Ballerina cubista mulatta con il diavolo addosso. Cervi volanti con microcamera incorporata. Baci infetti. Vanessa, l’amica di Cornelio, che da di fuori. Incubi vari, presenze illustri come Marlowe, Zorro, i quattro moschettieri, la signora in giallo e forse altri che mi sfuggono. L’ispettore Grazia Negro. Una terribile associazione segreta e controverso pistolotto finale.
Inquadrature da tutte le parti, di fronte, di dritto e di traverso, dall’alto in basso e viceversa, primi piani, angolazioni e tutta la tecnica che ci vuole per una migliore resa prospettica. Disegno un po’ rigido, un po’ legnoso e lo vorrei più fluente ma capisco che sia questione di gusti.
Insomma un bel casino. Non mi sono ancora svegliato.
Da quanti erano mi sono messi a contarli. A pagina ventuno avevo superato abbondantemente i cinquanta. Dieci addirittura in una sola pagina (e il libro è di piccolo formato). Un trionfo. Di che cosa? Ma del punto esclamativo che in Luce notturna di Martin Toebec, Robin edizioni 2008, la fa da padrone.
Ora in una recensione o presentazione che dir si voglia non ci si deve basare solo su queste sottigliezze grammaticali. Se i punti esclamativi ci stanno bene vanno messi. E poi, quand’anche fossero sbagliati o eccessivi, basta la trama e il tessuto narrativo a compensare qualche forma di esagerazione linguistica. Il fatto è che qui i punti esclamativi non sono troppi, sono un esercito, una valanga, uno tsunami che tiene alto il tono del discorso anche quando non ce n’è bisogno come uno strillo perpetuo che ti fracassa i timpani. La trama vacilla e affonda insieme al tessuto narrativo che scivola su una prosa banale e scolastica (leggere per credere) insieme agli elementi psicologici scarsamente credibili (e tutti quei punti esclamativi ne sono una lampante testimonianza).
Personaggio principale Antonio Righetti, appuntato dei carabinieri che esercita nel comune di Predazzo. Deve indagare su una serie di morti strane che coinvolgono ragazzi e ragazze, tutti appartenenti allo stesso gruppo. Dal due al tredici novembre. In contrasto con il solito investigatore, in questo caso Luca Ferri, mandato dal reparto operativo di Trento ed è ormai un cliché trito e ritrito. Morti strane, dicevo, una casa in aperta campagna che c’è o non c’è, ovvero c’è di notte ma non di giorno, una tomba con una scritta particolare, un pittore che ritorna in vita, quadri misteriosi, il tema del buio e della morte e un guazzabuglio di riflessioni pseudofilosofiche da mettersi le mani nei capelli.
Uno dei libri più brutti che abbia mai letto e mi spiace dirlo per una casa importante come la Robin. Mezza stelletta ed è un regalo.
“Immaginate una piccola impresa a conduzione familiare, dove da dieci generazioni si vende tutto ciò che può servire per suicidarsi. Il suo slogan è: “Morti o rimborsati!”. Ma nessun cliente è mai tornato per lamentarsi…Mishima Tuvache, il padre, specializzato in morti violente, dirige l’azienda con pugno di ferro. Lucrèce, la madre, addetta agli avvelenamenti, confeziona misture fatali. Vincent, il figlio più grande, sta progettando un parco divertimenti sul tema del suicidio. Sua sorella Marylin, che si crede inutile, vorrebbe farla finita ma un Tuvache non può uccidersi. Chi manderebbe avanti il negozio?…” Ecco la bella famiglia di Il negozio dei suicidi di Jean Teulé, Vertigo 2008. Anzi, no, ne manca uno, Alan, un figlio degenere che ama la vita. Sorride, ringrazia, disegna paesaggi splendenti, insomma la classica mela marcia che va tenuta sotto controllo.
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