Il cellulare, come se lo era  potuto dimenticare? Sarebbe stata la sua salvezza, ma era un qualcosa di reale, troppo reale, al là della percezione di Angelo di quel momento. Aveva la batteria scarica, ormai era solamente un oggetto capace soltanto di appesantirgli le tasche.

Nei giorni che seguirono, notò un’aria strana in ufficio, gli sembrava che tutti gli parlassero dietro le spalle, intuiva commenti, mai favorevoli, appena accennati. Silenzi imbarazzanti ed imbarazzati al suo passaggio. Restava solo Mirella che, senza farsene accorgere, aveva aumentato le premure, le attenzioni, il sostegno al “suo” ingegnere.

Una mattina entrò nel suo studio il socio, Fabio Franchi, che dopo alcuni convenevoli andò direttamente allo scopo “Angelo, lo ricorderai senz’altro, domani per la ditta è un gran giorno, in Palazzo Vecchio ci verrà assegnato un premio ambito, riservato alle nuove imprese che più hanno caratterizzato con il loro lavoro, il mondo dell’impresa di questi ultimi anni. Ci saranno le TV nazionali pubbliche e private. Noi siamo tra i premiati. Il premio lo ritirerai tu, mi sembra giusto: se oggi abbiamo raggiunto questo livello lo dobbiamo soprattutto al tuo lavoro intelligente, tenace, instancabile. Ma te la senti di andare? Non voglio passarti avanti, però in questo periodo ti ho visto assente, non so perché e, se ciò non ha a che fare con la ditta, non lo voglio nemmeno sapere. Ti chiedo solo se te la senti, ricordandoti che per noi è importante esserci.”, “Certo che me la sento, ho avuto qualche problema, forse la stanchezza accumulata è stata tanta, ma adesso è tutto superato. Sto bene, per domani ho già fatto il mio programma: alle otto vado in palestra, tanto per sgranchirmi, poi mi faccio accompagnare da Cesare, il mio autista, fino in via Tornabuoni, da lì a Palazzo Vecchio sono cinque minuti di strada, penso di farcela bene. Cesare posteggerà alla stazione, poi mi verrà incontro. Il cellulare lo terrò acceso per ogni evenienza. Come vedi non ho tralasciato niente. Quindi andrò io, sarebbe molto peggio dover giustificare la mia assenza”.

 

Il giorno dopo, la giornata iniziò come Angelo aveva previsto, dopo

la palestra Cesare lo lasciò in via Tornabuoni all’angolo con via Portarossa, “Allora ingegnere, posteggio e vengo verso il Comune, ci vediamo lì, arrivederci a tra poco”, “Va bene Adelmo, a tra poco. A proposito che ore sono?”,” Le dieci ed un quarto, ha tempo abbondante per arrivare in comune.”.

Aveva quarantacinque minuti di tempo prima dell’inizio della cerimonia, non avrebbe perso tempo nemmeno all’entrata: per i premiati era stata previsto un accesso particolare da via del Leone, Angelo camminava tranquillo, pensò di fare un giro appena  un po’ più largo per fermarsi al “Chiosco degli Sportivi”: un caffè e due chiacchiere non gli avrebbero fatto male. Furono veramente due chiacchiere ed un saluto affettuoso con il gestore, uscì e riprese il proprio cammino tornando indietro sotto i portici di via Pellicceria, verso via Porta Rossa. Era contento, disteso, sentiva che la giornata prometteva bene, si guardò un po’ intorno, qualche vetrina, qualche signora, poi guardò distrattamente l’orologio: mezzogiorno.

Si sentì svenire, non era possibile, un caffè due chiacchiere, come era possibile che fosse trascorso tutto quel tempo? Fu preso dal panico, iniziò a sudare, poi ebbe un’idea “Il cellulare! Sul cellulare c’è anche la funzione di orologio…Che scemo, non averci pensato prima! Il cellulare dove l’ho messo? L’avrò lasciato in macchina! Ma è possibile che sia già mezzogiorno? Adesso chi glielo racconta in ditta? Calma, forse prima ho visto male l’ora. Come, meggiogiorno e mezzo? Ma cos’ha quest’orologio? Corre! Un momento, in via Condotta c’è un negozio di orologi di marca, lì mi sapranno dire l’ora esatta. Almeno lì!” Ed Angelo filò via in mezzo alla gente, senza guardare dove metteva  i piedi, inciampava nelle pietre sconnesse, si scontrava con le persone. Correva, correva come un disperato, come un pazzo, come uno rincorso dai propri fantasmi. In via Condotta vide subito le vetrine d’angolo del negozio, si fermò, guardò gli orologi avevano tutti ore diverse, ma…correvano, le lancette correvano…entrò dentro il negozio, alla commessa sbalordita chiese “Scusi che ore sono?”, non udì

la risposta. Il suo sguardo fu attratto da un orologio appeso alla parete, anche le lancette di questo viaggiavano come impazzite. Accanto un altro orologio, anch’esso con le lancette che andavano a tutta velocità. Non sapeva più che fare, avrebbe pianto. Uscì. Guardò nuovamente l’ora, adesso la lancetta delle ore girava più veloce di quella dei secondi. Domandò ad un passante, che gli rispose con gli occhi sbarrati, Angelo percepì solo “ …. e trenta”, si mosse verso la piazza “L’orologio di Palazzo vecchio!” pensò “ Almeno quello! Che sia fermo almeno quello!”. Al termine di via delle Farine, si vide la strada sbarrata dalla statua di Cosimo de’ Medici troneggiante a cavallo con il mano lo scettro del comando.