“Mirella” le chiese Angelo, quasi sottovoce “ Mercoledì sono andato a Roma, come sempre, vero?”, “No ingegnere, mercoledì lo ha passato tutto il giorno in ufficio, anzi ad un certo punto si è lamentato di non aver molto da fare, ed io le spiegai che tutte le pratiche le avrebbe trovate pronte l’indomani, come sempre del resto. Il suo viaggio a Roma era per oggi, così almeno ci aveva detto ieri prima di andare via. La cosa ci ha lasciato un po’ sconcertati, ma abbiamo pensato che dopo tanto tempo una variazione potesse essere possibile.”, “ Abbiamo pensato?”, “Si. Tutti in ufficio, ed anche l’Ing. Franchi, suo socio”, “Ah, così voi parlate dei miei orari, bello davvero, mi piace come idea…” proseguì Angelo visibilmente contrariato “Ingegnere via, lei è un uomo di mondo, si sa da sempre negli uffici si fanno piccoli discorsi e chiacchiere. Lo sa, ed allora, lasci perdere, tanto non le cambierà certamente la vita!”, “Sarà come dici tu ma non mi convince. Basta chiacchiere adesso, portami un po’ di pratiche da firmare e quel progetto sul recupero di energia dalla nettezza”.

Angelo Ruffo, rimase chiuso tutto il giorno ad esaminare le pratiche e quel progetto, che riteneva interessante.

In pochissimo tempo aveva impiantato, con il socio Fabio Franchi, un’impresa,

La Riuso S.r.l.,  che basava il proprio business sul riutilizzo della nettezza urbana e che si era affermata saldamente sul mercato regionale grazie anche alle buone frequentazioni politiche..

L’idea forte, quella che li aveva fatti decollare, era stata l’abilità nel costruirsi attorno una galassia di microimprese, sulle quali poteva comodamente scaricare ogni stato di crisi dell’azienda leader.

 Era stato un lavoro lungo, sfibrante, carico di tensioni, ma alla fine ci erano riusciti, anzi ci era riuscito lui, l’ing. Ruffo, unanimemente considerato un piccolo genio tra i nuovi imprenditori ed in predicato di entrare in qualche consiglio di amministrazione di quelli importanti.

 

Quel giorno Angelo lavorò molto ma, contrariamente al solito, svogliatamente: la mente riandava a quelle distonie che iniziavano a preoccuparlo.

Ad un certo punto pensò che fosse meglio troncare lì ed andare a prendere Raffaele all’uscita della scuola; avrebbe poi passato il pomeriggio con lui, lo avrebbe portato al corso di tennis così avrebbe potuto vedere quella giovane signora, madre di un suo amichetto, alla quale non dispiacevano le galanterie di Angelo.

Telefonò a casa avvisando l’autista che sarebbe passato lui dalla scuola, quindi chiamò Mirella e le dettò l’agenda per la settimana entrante.

Non ebbe difficoltà a trovare posto per la macchina, ne fu sorpreso, in quella strada centrale piuttosto stretta, non gli era mai capitato fino a quel giorno “Ci sarà stata la pulizia della strade” si dette come giustificazione, rimase anche pensieroso sulla scarsa luce, anzi sul buio che ormai era sceso, “Forse hanno modificato l’ora legale”, anche il portone dei Padri Gesuiti era chiuso e, dall’esterno non vedeva segni di vita “Eppure sono addirittura in anticipo! Ma i ragazzi dove sono?”, aspettò un po’, poi si decise a suonare, nessuno rispose. Provò ancora, inutilmente. Ancora, niente. Fu assalito da un rigagnolo di freddo lungo la schiena, perse la pazienza ed iniziò a colpire il portone con i pugni, con i piedi, con le ginocchia urlando “Datemi mio figlio! Datemi mio figlio!”.

Finalmente qualcuno aprì, era un piccolo gesuita infagottato in un tonacone messo di traverso, così tanto per coprirsi. “Ma cosa vuole a quest’ora? Si calmi o chiamo la polizia!”, “La polizia la chiamo io se non mi date mio figlio!”, il prete lo guardò pensieroso “Suo figlio, ma è un nostro convittore?”

“ Ma quale convittore! Mio figlio termina l’orario nel pomeriggio, non dorme da voi!”, “ E se esce di pomeriggio, lo viene a cercare a quest’ora?” “Come a quest’ora?” domandò stravolto Angelo, “Sono le 11, o meglio sono le 23, vada a cercarlo a casa, se c’ha una casa!” incalzò malevolo il sacerdote, poi vista la condizione di Angelo, cambiò atteggiamento chiedendogli premuroso “Ha bisogno di qualcosa?  Entri le faccio un caffè, dopo starà meglio…via entri…che magari telefoniamo a casa sua, forse saranno in pensiero…entri”, “A casa, si Raffaele è a casa, vado a casa…a casa” parlava con gli occhi ciechi, perso nei suoi pensieri, si staccò dal portone, andò di corsa alla macchina mise in moto e, via a casa! Il povero prete rimase qualche minuto, con i piedi a cavalcioni dell’ingresso, poi richiuse, non senza aver prima scosso il capo sconsolatamente.

 

A casa! Si a casa! Ma dove? Dove abitava non se lo ricordava più. Dovette fermarsi più volte, si ritrovò di fronte a porte di vecchi indirizzi. Infine ritrovò la strada. Rientrò al buio e sempre al buio entrò a letto, cercando di non farsi sentire da Flavia.

Una voce fredda e tagliente come una lama lo attraversò “Dove sei stato imbecille! Il bambino ha pianto fin’ora. I gesuiti hanno provato a cercarti dappertutto ma tu dov’eri? A puttane immagino. Eccolo il grande lavoratore, non hai avuto nemmeno il coraggio di rispondere al cellulare”.