“Passiamo al particolare di prima”.
“Bene, prima di essere strangolata la ragazza deve avere preso qualcosa che l’ha fatta addormentare”. A questo punto Serbelloni tirò fuori un fazzolettone bianco con il quale incominciò a tergersi la fronte che incominciava a colare. Siccome la cosa andava per le lunghe…
“Per caso vuole farsi anche una doccia, Serbelloni?” ringhiò Manganelli.
“Dai primi accertamenti, che controlleremo ancora, sembra che abbia fumato una buona dose di Rutella-cannabis, un oppiaceo che serve a rilassare il sistema nervoso. Se preso a dosi massicce porta ad un sonno profondo”.
“Uno spinello, insomma…”
“Più che uno spinello. La Rutella non scherza. Ti addormenta in un batter d’occhio”.
Accidenti! Non vi è altra traccia lasciata dall’assassino, maschio o femmina che sia?”.
“Nessuna”.
“Quindi si presume che portasse dei guanti”.
“Esatto”.
Non c’era nulla da fare. Il Serbelloni era così. O prendere o lasciare. L’unica cosa ragionevole era lasciarlo libero e leggere attentamente il suo referto.
“Allora, Serbelloni, se non c’è altro…” Il Serbelloni strinse la bocca e scosse le guance paffute.
“…può andare”. Il Serbelloni si alzò a fatica emettendo un gemito soffocato che voleva essere di liberazione, fece una specie di sorriso e se ne andò traballando così come era venuto.
“Bene, ora tocca a lei, Rinesi”.
“Non credo di poter aggiungere molto”.
“Chissà perché, ma questo quasi me lo immaginavo”.
“Nel senso che le cose più importanti le ha riferite il mio collega…”.
“Mi dica quelle più frivole, che ci divertiamo”.
“Le impronte delle gomme appartengono ad una Punto…”.
“Bene…”.
“Male, invece, ce ne sono troppe in giro. Difficile da trovare, anche se le gomme sembrano parecchio consumate. Abbiamo trovato anche delle impronte di scarpe”.
“Questa, almeno, sarà una buona notizia”.
“Non direi”.
“Oltre che parco di parole anche pessimista, eh?”.
“Non è colpa mia se le scarpe erano avvolte da una robusta fascia di nailon”.
“Altro?”.
“Il pedone”.
“Quale pedone?”.
“Il pedone degli scacchi”.
“Già, me ne ero dimenticato. Bravo Rinesi, la mia memoria incomincia a fare cilecca”.
“E’ un pedone in legno di buona fattura”.
“Si può risalire al venditore?”.
“Sarà difficile, è stato fatto a mano”.
“Allora basta fare il giro degli artigiani…”.
“Ho l’impressione che non basti”.
“Un piccolo segno di ottimismo mai, eh!”.
“A naso direi, data qualche imperfezione, che l’assassino se l’è fatto da solo”.
“Allora, purtroppo, viste le dimensioni, ci azzecchi senz’altro. Altro ancora?”.
“Altro”.
E così si concluse il colloquio con Rinesi.
“Che ne pensi, Manganelli?”.
“Un tipo particolare”.
“Non intendevo cosa ne pensi di Rinesi, che ormai conosco a memoria, ma del delitto”.
“Ci sono due cose che mi hanno colpito: la Rutella cannabis e il fatto dei segni alla gola”.
“Spiegati meglio”.
“Questa Rutella cannabis non l’avevo mai sentita nominare”.
“Nemmeno io”.
“Deve essere un nuovo oppiaceo”.
“Mi era venuta voglia di chiederlo a Serbelloni, ma poi ho desistito…”.
“La capisco, lei in fondo ha un cuore tenero. Dicevo questa benedetta Rutella e quei segni alla gola dimostrerebbero che l’assassino o si è divertito a strozzarla più volte così tanto per soddisfazione, oppure non aveva forza. Tutta l’energia l’ha spesa per il trasporto a mano del cadavere dalla macchina al luogo dove lo abbiamo trovato”.
“Mmmm…può essere”.
“Oppure…”.
“Oppure?”.
“Forse si è lasciato prendere dall’emozione…”.
“Dopo una buona una delle tue. Se prima l’ha stordita, o addormentata con uno spinello di quella roba lì, si è messo i guanti alle mani ed ha coperto le scarpe con il nailon, mi sa che non sia un tipo facilmente emozionabile. A me dà l’idea di uno piuttosto freddino”.
“Scherzavo, commissario, scherzavo…Le pare che io possa tirar fuori una congettura di tal genere?”.
“Non mi pare proprio, Manganelli”.
“Appunto”.
“Ne sono convinto”.
Il secondo ed il terzo delitto
Le prime scoperte sulla morte della povera Maria furono anche le ultime. Non riuscimmo a trovare nulla di nulla che ci potesse essere di aiuto per le indagini. La ragazza non aveva nemici e il suo fidanzato, l’unico che in qualche modo assai remoto potesse essere sospettato aveva, invece, un alibi di ferro. Come se non bastasse a questo se ne aggiunsero altri due a quindici giorni di distanza l’uno dall’altro. Una vera mazzata. Ve li racconto in maniera succinta, perché se mi ci soffermo troppo, di sicuro mi scoppia un’ ulcera.
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