“Il signor Erminio Gazzarri?”.“Per servirla”.Sono il commissario Marco Tanzini di Siena. Se lei permette vorrei porle qualche domanda. Sono da queste parti per svolgere delle indagini su questi misteriosi omi…”. Non mi fece neppure finire il discorso che “Ma, prego, si accomodi” disse con una voce estremamente cortese e nello stesso tempo mi condusse verso una poltrona in un piccolo salotto agghindato con molta cura.“ Gradisce un caffè? Stavo giusto preparandolo per me”.“Grazie, ma…”.“Commissario, è un onore riceverla nella mia casa. La vedo, come dire, un po’ addormentata. Mi lasci preparare un buon caffè”.

“Se proprio ci tiene”.

“Faccio in un momento”.

Mentre il signor Gazzarri se ne stava in cucina a preparare il caffè mi misi ad osservare il salotto. Piccolo ma pulito e ordinato con alcuni graziosi quadri alle pareti, una piccola libreria ed un tavolo in stile che mi ricordava il settecento. Sul tavolo una bella scacchiera in legno con i pezzi degli scacchi collocati sopra di essa. Già la scacchi…

“Ecco il caffè, commissario. Quanto zucchero?”.

“Lo preferisco amaro, grazie”.

“Come vuole. Allora qual buon vento la porta da me?”.

Mi aggiustai gli occhiali per guardarlo meglio. Aveva un viso dall’aspetto dolce e rassicurante, una bocca ben disegnata e due occhi celesti vivi e penetranti. Sembrava che il tempo avesse lavorato con delicatezza su quel corpo che dimostrava ancora segni di una certa vitalità. Lo accostai istintivamente ad uno di quei filosofi antichi che al liceo mi avevano incusso una certa soggezione.

“Ho settantacinque anni, commissario”.

“Beh, io non volevo…non li dimostra e non porta nemmeno gli occhiali”.

“Per grazia di Dio ho ancora una vista acuta. Ma mi dica la ragione della sua visita. Dopo avere bevuto il caffè”. Sorseggiai il caffè che mi pare avesse un gusto del tutto particolare.

“Le piace?”. Il vecchietto sembrava leggere nella mia mente.

“Sì…volevo dire che ha un sapore diverso dal solito, diciamo un gusto originale”.

Mi rispose con un sorriso inquietante che assomigliò vagamente ad un sogghigno.

“Sono venuto per porle alcune domande. Anche se dall’aspetto sembra un giovanotto, presumo che sia in pensione”.

“La ringrazio per il complimento. In effetti sono in pensione da molti anni”.

“Che lavoro ha svolto, se mi permette, nella sua vita?”.

“Sono stato un farmacista”.

“E anche un appassionato giocatore di scacchi”.

“Ah, la scacchiera sul tavolo…Si è vero. Ho giocato per molti anni”.

“Ma non a tavolino”.

“No…non a tavolino…ma come fa a sapere certe cose su di me. Sembra che si sia informato”.

“Niente di particolare. Abitudine del mestiere”.

“Sì, ho giocato per corrispondenza fino a quando è spuntato il computer che ha sciupato tutto”.

“Per corrispondenza, cosa significa?”.

“Vedo che è interessato agli scacchi. Anche lei conosce questo giuoco?”.

“Abbastanza, ma non tanto da essere bravo. Almeno come lo è stato lei. Un campione italiano…”

“Mi sta lusingando. Il gioco per corrispondenza è semplice. Io spedivo una cartolina all’avversario con le mosse segnate secondo il sistema vigente. Se volevo muovere il pedone di Re di due case allora scrivevo 1.e4 che rappresenta lo spostamento del pedone dalla casa e2, sottintesa, alla casa e4. Semplice”.

“E se l’avversario rispondeva, che so, con 1…e5, lei come rispondeva a sua volta?”.

“Beh, rispondevo immancabilmente portando il Cavallo bianco da g1 in f3 con 2.Cf3 per controllare il centro, come è nella regola generale”.

“Capisco. E se le avessero risposto 2…Cc6?”.

“Commissario, lei mi vuole provocare. Guardi che sono stato anche un buon giocatore alla cieca”.

“Accetto la sfida e rispondo con 2…Cc6”.

“Bene, allora 3.Ab5”.

“Vedo che le piace la Spagnola”.

“E’ solida e sicura”. A questo punto qualcosa incominciò a non funzionare nel mio cervello.

“ Io…io…gioco 3…a6”.

“Ed io le catturo il Cavallo in c6 con 4.Axc6+, la mia variante preferita”.

“La…la…la variante di cambio”.

“Bravo commissario, ma lei si sente male. Sta sudando…”.

“Lei…lei…”. Stavo in effetti sudando e sentivo che ero lì lì  per perdere i sensi. Mi aggrappai alle ultime forze rimaste. “Lei…lei è l’assassino, o meglio…uno degli assassini di questi… tremendi delitti…”.

“Immaginavo che mi avrebbe scoperto prima o poi. Lei è un bravo commissario, anche se per poco” rispose con una voce che si era fatta all’improvviso fredda e tagliente.

 “Tra un minuto la Berlusca-insatiabilis  che ho messo nel caffè farà il suo effetto. Prima di perdere conoscenza vorrà, però, saperne il motivo, non è vero?”. Tentai di gridare, ma la lingua era come bloccata. Potevo solo parlare a bassa voce.

“Non può gridare E’ uno degli effetti di questa pianta graziosa dai fiori celesti. Può solo emettere qualche parola che in poco tempo scomparirà”.

“Brutto figlio di…” riuscii a sillabare.