“Penso che è una brutta fine per questa povera ragazza”.
“Ma a parte questa riflessione del tutto originale…”.
“Non sarà originale ma sincera e doverosa”.
“…ma anche sincera e doverosa, dico cosa ne pensi così d’impatto di questo che pare proprio un omicidio”.
“C’è qualcosa di strano”.
“Butta fuori”.
“Primo punto:un omicidio così vicino alla strada principale non ce lo vedo”.
“Continua che mi piaci”.
“Punto due:la posizione della ragazza”.
“Che ha di speciale questa posizione?”
“Ma commissario, via, lo vedrebbe anche un cieco. Tutta bella distesa con le gambe unite, i capelli composti, le braccia conserte…Nessun segno di lotta, di difesa, eppure la ragazza non pare fragilina…”.
“E dunque?”
“Dunque, cosa?”
“Cosa ne deduce il mio fine argomentatore da tutto questo?”.
“Questa volta non mi è andata male”.
“E che c’entra?”.
“No, mi riferivo al fine…a quello lì, insomma…”. Gli lanciai la solita occhiata.
“Cosa ne deduco, cosa ne deduco, che l’assassino era il suo amichetto con il quale stavano coccolandosi, lei era tranquillamente sdraiata, lui era pronto a baciarla quando un raptus omicida…”
“Un raptus omicida prende a me se tiri fuori certe corbellerie. Per terra si vedono chiare delle impronte di gomme e sullo spiazzo erboso dove è la ragazza non vedo segni di lotte amorose. Ai lati del corpo l’erba è bella ritta, o sbaglio?”.
“Direi che non sbaglia. Ma allora, commissario, qualcuno l’ha portata qui bell’e morta”.
“Lo vedi che se ti impegni ci arrivi? E l’ha trascinata dalla macchina fino a questo punto, come dimostra la scia sull’erba”.
“E’ vero”.
E allora cosa devi fare?”.
“Come al solito cerco di sapere chi è, anzi chi era questa ragazza…”
“Bene”.
“Poi faccio venire il medico legale e quelli della scientifica per studiare accuratamente la scena del crimine”.
“Perfetto. Ma prima…”.
“Ma prima, ma prima…commissario un aiutino…”.
“Ma prima diamo un’occhiata a quella mano sinistra…”.
“…a quella mano sinistra che, a differenza della destra, è chiusa”.
“Ottimo spirito di osservazione”.
“Lo faccio io, commissario. Ecco fatto. Guardi un po’ che cosa aveva nella mano”.
“Che cosa?”.
“Una pedina bianca degli scacchi”.
“Vorrai dire un pedone…”.
“Una pedina o un pedone fa lo stesso…”.
“Ancora???”.
Per spiegare il senso di questa mia esternazione occorre ricordare che gli scacchi erano già entrati di prepotenza in due storie criminali precedenti che mi avevano tormentato non poco, che anche il sottoscritto conosce sia questo giuoco e anche diversi suoi più o meno abili praticanti che sogliono ritrovarsi presso il CRAL del Monte dei Paschi di Siena. Un’altra brutta vicenda che avesse un rapporto con il cosiddetto nobile giuoco mi avrebbe ingrugnito e incarognito.
“Così sembra”.
“E che c’entra questo stramaledetto pedone con questa storia ancor più stramaledetta! Dimmelo un po’ tu, Manganelli!” gridai con gli occhi che da celesti dovettero diventare verdi come il mare in tempesta.
“Commissario non se la prenda con me. Può essere una specie di firma dell’assassino come lo è stato in quel caso…si ricorda?”.
“Lasciamo in pace i ricordi del passato, Manganelli, che il presente ci basta e avanza!”.
“Lo lascio in pace. Dico che la pedina…”.
“Il pedone”.
“Insomma quello lì può significare una specie di sfida, come per dire ora che vi ho lasciato un segnale trovatemi, se ci riuscite”.
“Mmmmm…ci sta. Dunque è quasi mezzogiorno. Facciamo così. Scatta alcune foto della ragazza, un paio da vicino che si veda bene il volto, me le dai, andiamo a mangiare, poi io faccio una giratina nel ritrovo dei miei amici scacchisti, mentre tu cerchi di sapere chi è la ragazza e in serata, dico in serata, mi ascolti?”.
“A tutto campo”.
“A tutto che?”.
“La ascolto”.
“Dico, in serata fai venire nel mio ufficio sia il medico legale che il capo della scientifica. Voglio sapere tutto, ma proprio tutto di quello che hanno scoperto”.
“Ma…in una sola serata…come faranno a…”.
“Che si sbrighino, Manganelli, e che si arrangino”.
“Allora riferisco che…”
“Si sbrighino”.
“…che si sbrighino e che…”
“Si arrangino”.
“…si arrangino”.
“Un posto nella polizia non è un posto da fannulloni. Sarò lì ad aspettarli. Ora andiamocene a casa”.
Giulia, Silvestri e i giocatori di scacchi
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