Quando trovo qualcosa che abbia una qualsiasi relazione con gli scacchi non me la lascio scappare. Figuriamoci, poi, se si tratta di un giallo. Due piccioni con una fava. Come nel caso di Il letto d’ebano di Rufus Gillmore, Polillo 2008 (pubblicato per la prima volta nel 1932!).
Dalla seconda di copertina “Il letto d’ebano è quello sul quale giace il corpo della bella e famosa Helen Brill Kent, morta per un colpo d’arma da fuoco sparato a bruciapelo. Secondo la polizia di New York si tratta di suicidio, data l’assenza di indizi che inducano a pensare altrimenti. La stanza della vittima era chiusa a chiave e non ci sono impronte né segni di lotta; anche l’atteggiamento composto del volto della donna sembra confermare l’ipotesi degli investigatori. Com’è infatti possibile che una persona minacciata da una pistola spianata a pochi centimetri dal viso mantenga un’espressione così serena? Ma non appena Griffin Scott, psicologo, rinomato pubblicitario e detective dilettante, arriva a casa accompagnato dal procuratore distrettuale si rende conto che la donna non si è tolta la vita, bensì è stata uccisa da qualcuno dotato di una mente straordinariamente ingegnosa”.
Dicevo degli scacchi. Lo sappiamo fin dalla prima pagina dal racconto del narratore “Lui (Scott) aveva eluso tutte le mie domande, ammaliandomi con la scusa di una partita a scacchi”. In effetti giocano addirittura su “una grande scacchiera dipinta sul pavimento”. Apertura dei Quattro Cavalli, per gli intenditori, che sta andando “a picco” per Scott, quando arriva la notizia del suicidio di Helen Brill Kent.
Dunque Griffin Scott, uno dei tanti detective dilettanti di quel tempo. Corpo longilineo di media altezza, dita lunghe e “irrequiete”, occhi di un azzurro cupo, capelli color cannella. Particolare il luogo in cui lavora “Lui non doveva far altro che muovere alcune leve su un quadro di comando nel corridoio per trasformare il suo ufficio in uno studio, in un’officina, o in laboratorio”. Direi ingegnoso. In contrasto con il procuratore distrettuale Randolph Hutchinson e l’ottuso sergente Mullens, seguendo un cliché già ampiamente sperimentato soprattutto da Van Dine. Ottimo psicologo (lo fa anche di mestiere) capace di usare la collera e il buonumore per arrivare ai suoi scopi. Spesso si passa le lunghe dita bianche delle mani fra i capelli. Nei momenti difficili rimane sdraiato sul letto con “il corpo completamente separato dalla mente”.
Presi di mira soprattutto gli occhi ora acuti, battaglieri, raggelanti, lampeggianti, ardenti, elettrici ecc…con paragoni francamente esagerati o grotteschi “Quello sguardo fu simile a una ventata d’aria rovente dalla sala dei motori di un transatlantico”, oppure “Gli occhi azzurri sfavillarono come fuochi d’artificio” e così via. Un’ammirazione spropositata da parte del narratore verso il suo “idolo”.
Fuma la pipa ma, soprattutto, le sigarette. Abbiamo anche un po’ di movimento, lotta, colpi di scena, un omicidio che tira l’altro, un assassino che non è l’assassino, e infine il trucco finale per smascherare quello vero. Un grazie alla Polillo editore che ristampa romanzi del mystery tra il 1920 e il 1940, altrimenti irreperibili.
Sito dell’autore www.libridiscacchi.135.it
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