Con una trama surreale e decisamente noir, personaggi grotteschi e un’alternanza continua di registri alti e bassi, Il monastero dei lunghi coltelli conferma lo straordinario black humour di Douglas Lindsay che la critica ha accostato al connazionale Irvine Welsh (ma senza droga né sesso: sarebbe davvero troppo!), e al genio visionario di Quentin Tarantino. Sgangherato, ben ritmato e molto divertente.
Ritorna Barney Thomson, il barbiere di Glasgow già “killer per caso” de La Bottega degli errori (Kowalski, 2006).
Le sue avventure riprendono dal punto esatto in cui si erano interrotte nel primo volume, cioè dal ritrovamento del cadavere di Chris Porter; la narrazione inizia però in medias res, cioè trascorsi alcuni mesi da quell’evento ed è tramite rapidi flash-back che scopriamo cosa sia accaduto nel frattempo: Barney il barbiere è stato accusato di tutti gli omicidi e si dà per questo alla fuga, abbandonando la sua piovosissima città per ritirarsi in un convento del gelido nord della Scozia: stavolta è la neve il tratto ambientale dominante.
Il capo della polizia MacMenemy, già incontrato nella prima avventura, è costretto a sollevare l’ispettore Woods dal caso (“… non riuscirebbe a trovare la merda in una fogna.” sic), affidandone la risoluzione all’ispettore Mulholland e al sergente (donna) Proudfoot. I due hanno solo dieci giorni di tempo, anche perché il caso Barney Thomson si è gonfiato a dismisura: l’accanimento dei giornali è parossistico, Barney è diventato il capro espiatorio di qualunque accidente sia occorso in Scozia, di qualsiasi genere e in qualsiasi epoca, incluse le sconfitte della squadra di calcio scozzese (“L’errore di Billy Bremner contro il Brasile nel ’74? Colpa di Barney Thompson.”).
I due poliziotti sono entrambi disamorati dalla professione e invischiati nei propri problemi personali e benché reciprocamente attratti non hanno alcuna intesa e appaiono male assortiti. L’interazione fra i due è spassosa, i dialoghi zeppi di citazioni ora colte, letterarie e cinematografiche, ora grossolane, in un’alternanza di registri che rende oltremodo grottesche le situazioni e i personaggi che via via entrano in scena.
Barney, rifugiatosi nel monastero e ripreso con successo il mestiere di barbiere, non fa neppure in tempo a rilassarsi che è subito coinvolto in una serie di omicidi che sconvolgono la vita tranquilla dei monaci: forbici e rasoio le armi dei ripetuti efferati delitti!
L’abate, i monaci, i poliziotti e Barney, tutti insieme nel monastero, proveranno a risolvere il caso ciascuno a suo modo, un modo perlopiù sgangherato che segue, narrativamente, un procedimento di anticlimax: ogni costruzione viene regolarmente smontata da una battuta immediatamente successiva che scombina le carte (si verrà a sapere ad esempio che uno dei monaci, in fuga dal killer, ha deciso di gettare il saio alle ortiche appena giunto in città e di speculare sulla vicenda vendendo la storia a un giornale…).
Il finale, inaspettato, è aperto a un altro spassoso episodio.
L’autore
Douglas Lindsay è nato in Scozia nel 1964.
La Bottega degli Errori è il suo romanzo d’esordio e il primo di quattro noir pubblicati in tutta Europa che hanno il barbiere Barney Thompson come grottesco, irresistibile protagonista.
Il Monastero dei Lunghi Coltelli
di Douglas Lindsay
dal 24 gennaio in libreria
pp 384 - Euro 16
Apogeo Editore srl
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