Sherlock Holmes è un mero positivista? Vi lasciamo questo quesito durante l'estate, supportato dall'articolo qui sotto che Andrea A. Iannello ha recentemente scritto sul Gornale di Caserta. Ringraziamo l'autore, e nostro collaboratore, per averci dato l'autorizzazione a pubblicare questo pezzo. Buone vacanze a tutti e ci rivediamo su queste pagine al più presto...
E’ recentemente stato pubblicato, sul “Domenicale” de “Il Sole 24Ore”, un articolo (a firma di A. Pagnini), che recensisce due libri appena usciti e che trattano dell’aspetto “epistemologico” dei racconti e dei romanzi brevi che hanno come protagonista Sherlock Holmes. Come si sa, quest’aspetto ha destato molto interesse. I libri sono: E. J. Wagner, “La scienza di Sherlock Holmes” (Bollati Boringhieri, Euro 20,00); Renato Giovannoli, “Elementare, Wittgenstein! Filosofia del racconto poliziesco” (Edizioni Medusa, Euro 29,00). Il primo è molto interessante come ricostruzione della scienza coeva alle avventure del detective “par excellence”, che ormai vive di vita propria, ben oltre le intenzioni del suo creatore, in non piccola parte quasi “esautorato” dalla sua stessa creatura, creatura che qualcuno ha chiamato “golem Holmes” per le sue capacità d’autonomizzarsi e di fagocitare ogni cosa. Se, da un punto di vista storico, il libro della Wagner può essere interessante, non ci dice il bel resto di nulla riguardo alle capacità di sussistenza e di accrescimento del “golem Holmes”. Anzi, davvero cerca di ridurlo al positivismo a lui coevo, quando, al contrario, come qualcuno ha detto, Holmes è un “ipocrita metodologico”, che si giustifica “positivisticamente”, ma si guarda bene dal praticare tale metodologia, come anche una scorsa rapida agli scritti “canonici” di Conan Doyle dimostrerà facilmente. Ben lungi dal praticare il famoso “Hypotheses non fingo” di newtoniana memoria, Holmes d’ipotesi ne “finge”, oh se ne “finge”! Lo stesso Newton, d’altra parte, ne aveva formulate d’ipotesi, e basti leggersi la sua “Ottica” per vederlo dimostrato, senza contare gli studi, tantissimi, di alchimia e d’interpretazione delle profezie, ai quali Newton si dedicò con tanta costanza che Lord Keynes lo definì significativamente “L’ultimo dei maghi” (rinascimentali). Lo “scienziato” Holmes, del quale parlò anche Gramsci, che gli preferiva padre Brown di Chesterton, è, in larga misura, una creazione posticcia, non basata sul “Canone” conandoyleano, ma sulla mentalità coeva, il che, ripetiamolo, non ci spiega per nulla come Holmes goda di ottima salute a così grande distanza di tempo, senza contare la sua capacità di penetrazione anche nei paesi e nelle lingue più lontane. Insomma: se fosse stato solo positivismo, la sua capacità d’attrazione si sarebbe da tempo arenata, ma così non è. Il positivismo è solo una copertura, ed assai lieve, dovuta all’epoca della sua creazione, ma nelle novelle su Holmes riecheggiano temi molteplici e molto più “archetipi”. Senza contare che sono precisamente questi temi, apparentemente “di contorno”, a darci una delle chiavi della perdurante fortuna di Holmes. In altre parole: individui fra i più diversi e persino opposti, vi trovano delle ragioni d’interesse. Assai più corretto Giovannoli, che paragona la razionalità di Holmes, più che a quella “positivistica”, a quelle di un Leibniz o di uno Spinoza (soprattutto, a mio avviso, Spinoza). Ma pure il libro di Giovannoli contiene un elemento assai discutibile, ed è quando Giovannoli rifiuta l’idea secondo la quale Holmes opera delle “abduzioni”. Queste ultime, a differenza delle deduzioni o delle induzioni, sono dei processi mentali per i quali, da pochi tratti secondari, si tende a dedurre una legge generale (una specie d’induzione più debole, a causa delle sue premesse). Holmes opera delle abduzioni o non? Talvolta sì, talvolta non. Talvolta, effettivamente, da pochi fatti paradigmatici tende ad estrarne una legge generale, come un fisico che estrapolasse il comportamento generale dei gas da quello di un singolo gas osservato una volta sola. Ma delle altre non lo fa. Delle altre volte opera delle semplici deduzioni ed altre ancora opera per similarità e ricorrenza induttiva. Raramente, però accade, vi è dell’intuizione, come nel caso dei suoi sospetti su Moriarty all’inizio de “La Valle della Paura”. Come si è detto, Holmes è un “ipocrita metodologico” che, spesso, non rispetta le sue stesse teorizzazioni. E ciò è tra le cause, non minori, del suo perdurante fascino.
(Andrea A. Ianniello)
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