Montalbano ha fretta. E' il primo titolo che Andrea Camilleri aveva dato a Le ali della sfinge, da pochi giorni in libreria, l'ultima fatica del commissario di Vigata, l'undicesima per l'esattezza. Un titolo che non rientra nello stile dello scrittore di Porto Empedocle, che infatti lo cambiò.
E rimasta invece la fretta, quella del commissario, dettata dalla necessità di chiudere quanto prima due complesse indagini intrecciate per correre finalmente da Livia, nel tentativo di salvare l'ormai incrinato rapporto sentimentale. Ma la sollecitudine non è solo narrativa, si interseca con l'autore, impegnato in un grande progetto narrativo, che espone in una intervista dal carattere intimista.
"In questo ultimo libro Montalbano si sdoppia - spiega Camilleri - ci sono Montalbano uno e Montalbano due in posizione dialettica tra loro, litigano e sono su posizioni contrapposte. La vecchiaia, quella psicologica non fisica, la stanchezza, diventa così forte da arrivare ad un vero sdoppiamento; in questo modo il commissario può essere più lucido nelle sue analisi poiché diventa arbitro fra due parti di sé". Ma questo sdoppiamento "è una palettatura mia, che mi serve per giungere all'ultimo Montalbano in cui il commissario sarà addirittura in lotta con il suo doppio", anticipa lo scrittore siciliano. Ci avviciniamo all'ultimo romanzo?
"Mi avvicino al finale, Le ali della sfinge possiamo definirlo un prefinale. La Sellerio ha già un altro romanzo di Montalbano, che uscirà l'anno prossimo e che si chiama La pista di sabbia. Sto conducendo il personaggio fino a quella che sarà la soglia dell'addio ai lettori. Inoltre prosegue Camilleri questo giochetto con Montalbano mi evita la ripetitività, che è il rischio maggiore per un personaggio seriale". Vuol dire che il commissario ha solo altri due romanzi prima di scomparire? "Diciamo che tra questo e l'ultimo ce ne sono altri. Intanto ho scritto il successivo. Avendo visto lucidamente come finisce il personaggio, siccome non è detto che il tempo aspetti me, l'ho scritto". Una scelta coraggiosa quella di abbandonare Montalbano, visto anche il successo di pubblico.
"Devo ammettere che ancora non so spiegarmi il fenomeno Camilleri denuncia candidamente l'autore non soltanto Montalbano tiene in termini di mercato ma i lettori aumentano di romanzo in romanzo. La vampa d'agosto ha venduto 650 mila copie e aveva ricevuto 360 mila prenotazioni. Le ali della sfinge ne ha ricevute 420 mila di prenotazioni: il numero dei lettori cresce di 30/40 mila a ogni romanzo. Da dodici anni nessun mio libro è andato fuori catalogo, ogni nuovo Montalbano significa vendere copie della Concessione del telefono o del Birraio di Preston: il commissario è insomma un apripista formidabile".
Lo dice per celia? "No, non è l'elogio della vendita dei libri che fa uno scrittore, ma è lo scrittore che vuole che il suo lavoro arrivi a quanta più gente possibile; solo per questo enuncio le cifre". Si è stancato del suo personaggio? "Montalbano mi stanca nella misura in cui voglio evitare la ripetitività, questo mi comporta uno sforzo di scrittura maggiore. Simenon diceva che scriveva Maigret fischiettando, io ho cominciato così con Montalbano, ora invece devo essere estremamente concentrato".
Possiamo definire il commissario di Vigata come uno personaggio popolare utilizzato per far passare messaggi più alti? "Questa è una scuola che viene dagli Stati Uniti, Hammett e Chandler non hanno scritto soltanto gialli ma hanno fornito lo spaccato del contesto dei delitti, e questa è la loro più grande lezione. Non si tratta soltanto di risolvere un caso, il contesto è infatti almeno altrettanto importante. E stato questo elemento che ha permesso l avanzata del giallo nel mondo, quindi il successo di Vazquez Montalban, di Markaris in Grecia, di Izzo in Francia e anche di Durrenmatt. Nessuno oggi scriverebbe un giallo e basta, come se fosse un gioco di enigmistica. Anche io mi comporto in questo modo: negli ultimi romanzi la trama gialla si va rarefacendo, e lo sarà sempre di più".
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