Nel dodicesimo capitolo del suo “Zadig” Voltaire verga una professione di fede: “Il caso non esiste: tutto è prova, o punizione, o ricompensa, o previdenza”. Livio Macchi ne La formula dell’ Arcanum riprende questa dichiarazione laica, ne fa porta di ingresso e di uscita del “plot”, rivelandone la circolarità.
La citazione è funzionale ad un’opera in odore di giallo già nel titolo, dipanata tra “location” e personaggi presi di peso dalla corte napoletana di Carlo di Borbone, in una sequenza quasi ininterrotta di colpi e di cambi di scena e d’ attori.
Insomma La formula dell’ Arcanum brilla di luce propria grazie al sapiente mix di romanzo storico e giallo: a scanso di equivoci sarà lo stesso autore, nella nota conclusiva, a precisare la linea di demarcazione tra i due generi.
La Storia con i suoi viluppi di potere e di sangue sa dispensare suspense. Se,poi, questo comune denominatore si combina all’ abilità di un giallista il risultato cresce in maniera esponenziale.
E’ il caso di Macchi, capace di trascinare il lettore tra le pieghe di una corte invidiata e capricciosa, nella Napoli settecentesca delle porcellane di Capodimonte e nei retroscena di quella Real Fabbrica, con il suo insospettabile dietro le quinte.
I personaggi che animano il “plot” entrano subito in scena: Ferrante Chilivesto, capitano di giustizia alla Vicaria e Jacopo Testi, ladro, truffatore ed assassino prezzolato con false generalità. Essi,poli estremi di una vicenda sulla quale si affaccia la corte borbonica tra splendori e miserie, si incontreranno lontano da Napoli e in circostanze straordinarie: lo svelamento a San Pietroburgo ridarà al capitano investigatore una pace smarrita e al lettore il tassello per completare il mosaico.
Buona parte dei personaggi, ossia quanto si muove attorno ai due protagonisti, quasi vi converge come accade ai raggi di una ruota: Girolamo Calero, Reggente a CastelCapuano e superiore di Chilivesto, Nino Fumo al quale il capitano di giustizia commissiona un lavoro, il principe Dentice ministro della Real Casa, il conte Pjotr Fedrovic Galitzin, inviato della zarina a Napoli, Mattione, il servo muto e forestiero di Jacopo Testi, re Carlo, infastidito dall’arroganza di costui, quel “guaglione” in giacca rossa che attira la sua attenzione alla Fiera fin dalla prima pagina, quando ha l’ardire di investire un capitale, per inciso non suo,nell’acquisto delle reali porcellane, quasi a volersene appropriare del tutto.
Qua riposa il movente del giallo che, tuttavia, rimane oscuro per metà dell’opera.
Palese, invece, è il furto tra le mura della Real Fabbrica come palesi sono i tratti dei personaggi principali, descritti con certosina attenzione.
Con La formula dell’ Arcanum si viaggia indietro nel tempo e attraverso lo spazio.
La narrazione si sposta tra Napoli e Livorno, il Regno borbonico e la Russia della Nevskaja, brutta copia della Real Fabbrica.
Livio Macchi, con penna disinvolta, restituisce a Napoli ciò che le vicende storiche le hanno tolto. Ai cultori del giallo il piacere della scoperta.
Livio Macchi, “La formula dell'Arcanum”, edizioni Piemme, 2006, pgg. 350, € 5,90
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