L'8 marzo, presso il Teatro dell'Orologio, via Filippini 17/a Roma, ha inizio dalle ore 21.30 lo spettacolo teatrale HAMMETT n. 3241 per la regia di Biagio Proietti con Walter Maestosi.
Una confessione che è un monologo. Un monologo che diventa una lunga confessione. HAMMETT N.3241 nasce dal mio amore per Dashiell Hammett, sicuramente uno dei più grandi scrittori americani ma anche dalla profonda ammirazione per l’uomo, per Dash come lo chiamano gli amici Dash. Il titolo si riferisce al numero che lui ha avuto in prigione quando fu condannato a sei mesi di reclusione dalla Commissione per le attività antiamericane, più nota da noi come commissione McCarthy dal nome del suo maggiore esponente. Il maccartismo è stato un fenomeno politico che ha superato i confini degli Usa ed è diventato il sinonimo di violenza politica e d’oppressione da parte del potere contro la libertà d’espressione e la democrazia. Ed in questo momento è d’attualità parlare di maccartismo sia negli USA (vedi il film Good night and good luck di Gorge Clooney candidato agli Oscar), sia in Italia dove stiamo vivendo un momento terribile, sotto il profilo dell’inquinamento culturale e del possesso dei mezzi di diffusione.
Nel 1951 la commissione chiese a Hammett, sospettato di essere stato iscritto al partito comunista ma soprattutto pericoloso per le sue idee, di fare i nomi d’alcuni dirigenti del Congresso dei Diritti Civili, lui si rifiutò e per questo fu condannato a sei mesi di carcere duro. La bellezza del personaggio è che lui quei nomi non li conosceva: gli sarebbe stato sufficiente dire questo per salvarsi ma lui non volle raccontare una verità che sembrava una menzogna assolutoria. E non volle farlo per un motivo molto semplice: non avrebbe mai permesso ai giudici ed alla polizia di insegnargli cosa fosse la democrazia. Per questo se ne andò in prigione dove non ebbe trattamenti di favore ma fu messo a pulire cessi, un lavoro come un altro che deve essere fatto bene. Per fortuna la pena fu scontata di un mese per buona condotta. Termine che contraddice tutta la vita di Hammett, consumata a bere, a giocare, ad inseguire criminali sia nella realtà, avendo lavorato come investigatore privato per la famosa agenzia Pinkerton, sia sulla carta quando decise di fare lo scrittore. Seguendo L’istinto della caccia come recita una sua famosa raccolta di racconti. Una vita dedicata alle donne, che però non doveva inseguire perché erano loro a cercarlo e a desiderarlo. Donne d’ogni tipo, dalle prostitute alla dolcissima infermiera che divenne sua moglie, alla grande scrittrice Lillian Hellman con la quale ha vissuto un amore tempestoso e movimentato da reciproci tradimenti ma capace di resistere per trenta anni, fino a quando Dash morì.
Nello spettacolo, costruito come un flusso di memoria dove ricordi ed emozioni, passato e presente si fondono per mettere a nudo l’anima di un uomo, Dash è visto in un momento particolare, quando sta per uscire dalla prigione. Un momento felice, anche se lui è cosciente che sarà inserito nella famosa lista nera: i suoi libri saranno proibiti e lui non potrà più lavorare per Hollywood.
Dash, uomo duro e taciturno, è anche profondamente tenero e dolce(come dimostrano i rapporti con le figlie), innamorato della vita al punto tale da combattere per far diventare questo mondo migliore per tutti gli esseri umani. In fondo, è un lupo solitario anche se circondato sempre da donne, dal profumo di alcol, da nuvole di fumo, dal suono frastornante del jazz nei mitici anni trenta. Un anarchico che però ama la vita militare ed a 48 anni riesce a farsi arruolare come volontario durante la seconda guerra mondiale: quella è una guerra che va combattuta. Il giorno 9 dicembre 1951, Hammett è felice di poter tornare nel mondo, alla luce del sole, per riprendere a combattere ma soprattutto per vivere. Finalmente si può togliere la divisa da carcerato, ritornare ai suoi vestiti eleganti, con la certezza che fuori troverà l’inferno ma per lui sarà affascinante affrontarlo, come ha sempre fatto, con la voracità che lo ha portato a vivere ogni esperienza sin da giovanissimo.
Mentre lo vediamo, finalmente libero e felice, uscire da quelle quattro mura che lo hanno soffocato per mesi, la voce di Lillian Hellman ci racconta come il 10 gennaio 1961, dieci anni dopo, Hammett muore per un cancro ai polmoni, forse esteso a tutti gli altri organi. Muore a 66 anni, ridotto a pesare solo 53 chili.
Dashiell Hammett scompare da questo mondo ma resta con noi per sempre: non soltanto per i suoi romanzi e per i suoi racconti (bellissimi) ma soprattutto per la sua immagine d’uomo duro e dolcissimo, severo e scatenato, amante della democrazia fino a sacrificare l’altro suo grande amore, la libertà. Un uomo che forse tutti noi vorremmo essere. Non sempre però ci riusciamo.
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