– Non credevo mi fosse tanto affezionato.– C’è poco da scherzare! Quando le avrò detto… – Ma l’ennesima convulsione di Holmes interruppe Lestrade, che chiese preoccupato: – Che le succede?
– Nulla di grave. Purché basti a sottrarmi a inutili domande sul perché sono qui.
– Sempre misteri, eh? A proposito, complimenti per la faccenda del furto alla Banca d’Inghilterra.
Holmes scrollò le spalle. – Io parlerei semmai di un disguido. In ogni caso, se c’è un merito, ho disposto con chi di dovere che vada tutto a Scotland Yard.
– Il che non la esime dal dirmi com’era la storia.
– Le basti il merito. Qui cos’è successo?
Lestrade sospirò e ci fece strada nell’ingresso illuminato a gas. – Stavo per chiamarla, perché serve una testa migliore della mia per capirci qualcosa. I vicini hanno sentito urla e visto strane luci, e quando siamo arrivati… – Sostò davanti a una porta aperta. – Be’, veda lei. Non ho toccato nulla, secondo i suoi insegnamenti.
Entrammo in una stanza adibita a studio. Alla fiamma del camino e di una lampada, sedeva, curvo sulla scrivania, Persano, la bocca spalancata da cui colava un filo di bava e gli occhi vacui sbarrati su una scatola di fiammiferi aperta. Accanto, c’era l’oggetto, spaccato a metà.
Ricordai allora che non avevo disposto che il pacco fosse recapitato al mattino. – Holmes! Non ho…
– L’avevo già capito! – mi diede brusco sulla voce.
Lestrade gli lanciò un’occhiata indagatrice. – Suppongo sia inutile chiederle di farmi partecipe dei vostri segreti.
Holmes tacque.
– Eh già! Ma forse il dottor Watson vorrà almeno darmi il suo illuminato parere sulle condizioni di Persano. O anche questo è chiedere troppo?
Interrogai con lo sguardo Holmes, che annuì.
Dopo aver osservato il volto spento di Persano e tastatogli il braccio irrigidito, dissi: – Sembra colpito da catatonia.
– Che sia fuori di zucca non si discute. Il punto è: perché? La causa apparente del suo stato non mi dice niente. – Lestrade indicò la scatola, su cui Holmes si appena chinato. – È una normale confezione di fiammiferi antivento Bryant e May. Ma il contenuto è sparpagliato sul pavimento come se Persano l’avesse vuotata frettolosamente per metterci dentro… quella roba.
– Esatto – confermò Holmes. – Dia un’occhiata, Watson.
Nella scatola giaceva un verme arrotolato in spire striate da colori madreperlacei. – Curioso – dissi. – Ha un suo fascino. Non credo di averne mai visti di simili.
– E io ne sono certo. Lestrade, è opportuno che la stampa ignori questa storia.
– E suppongo sia inutile che le chieda perché.
– Deve fidarsi del mio giudizio. Sinora, non se n’è mai dovuto pentire… Sempre che le interessi far proseguire la nostra collaborazione – aggiunse Holmes in tono significativo.
– Certo – disse brusco Lestrade. – Ma come la mettiamo col pennivendolo che ha incontrato sulla porta? Che, guarda caso, lavora proprio per la Fortnightly Review. A Londra non si parla d’altro che della loro sfida e quel tipo era appostato qua attorno, nella speranza di coglierla a torcere il collo a Persano. Ne parleranno e come di questa storia!
– Me l’immagino. E allora valga la tesi che la medicina ha già fornito tutte le spiegazioni necessarie: un’improvvisa febbre cerebrale ha ridotto Persano alla catatonia.
Lestrade si grattò la fronte. – Sì, ma il verme?… Oh, al diavolo, un italiano attaccabrighe non vale tanti pensieri. Ma lei lo sa che ci andrà comunque di mezzo?
Un guizzo d’amara ironia attraversò gli stanchi occhi grigi di Holmes. – Chi vivrà vedrà – disse. – Ma ora porti via Persano, io resterò a dare un’ultima occhiata.
Osservammo gli agenti trascinare Persano. E’ noto che morì dopo poco per una misteriosa forma di deperimento, senza tornare più in sé.
Come restammo soli, Holmes tossì e barcollò. Si passò la mano sulla bocca per ritirarla macchiata di sangue.
– Perché vuole restare? – gli chiesi affranto. – Deve indossare abiti asciutti, mettersi davanti a un bel fuoco…
– La smetta, una buona volta! – gridò esasperato.
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