– Come vuole lei.– Mi faccia un ultimo favore agente. Lasci il biglietto che ora le scriverò alla famiglia Philipson – E prendendo un foglio dal ragazzo ed una penna scrisse un semplicissimo “affari urgenti richiedono il mio intervento. Verrò domani”.Tornati in fretta e furia a casa, Holmes decise di cambiarsi d’abito. Uscì dalla camera con un lurido vestito e completamente sporco, che quasi non lo riconobbi.– Holmes, ma dove va conciato in questo modo?– A cercare di capire chi voleva la morte di quel pover’uomo.

– Non crede che si tratti di morte naturale?

– No, era sano come un pesce fino ad una settimana fa. Credo che sia stato ucciso.

Il grande detective era entrato in azione in un’altro caso, tralasciando completamente il precedente.

Solitamente non lo faceva, ma probabilmente quell’uomo gli era diventato caro.

Al ritorno in casa, Holmes era affranto. Si lasciò cadere sul divano e socchiuse gli occhi.

– Nessuno, nessuno sa perché sia stato ucciso ne da chi.

– Il suo travestimento non è servito a nulla?

– Ho parlato con tutti, ma niente. Non aveva trascorso del tempo con nessuno, nessuna nuova amicizia.

– L’ago che ha raccolto a cosa serve?

– L’ago è stato intinto nel veleno. Di quale veleno vedremo subito – e si diresse verso lo studiolo adibito a laboratorio.

– Le preparo del tè? – chiesi.

– No, la ringrazio comunque Watson.

Si preannunciava un’altra serata di noia assoluta, così decisi di mettermi subito a letto e guadagnarne in sonno.

Al mio mattiniero risveglio trovai una sorpresa. Anzi dovrei dire che “non trovai”, perché Holmes era scomparso, completamente volatilizzato.

Sul divano trovai un foglietto che diceva “sono corso in città per controllare una cosa. Tornerò verso le undici”.

Mancavano ancora tre ore e decisi di trascorrerle con una salutare passeggiata. Il sole era alto nel cielo e una leggera brezza rinfrescava l’aria. Non riuscivo, però, a rilassarmi completamente, pensando ai due casi di cui il mio amico si stava occupando senza preoccuparsi della sua salute. Non dormiva da due giorni e mangiava pochissimo, come faceva a stare ancora in piedi?

Ero immerso in questi pensieri quando vidi a poca distanza il caro maggiordomo di casa Philipson.

– Anche a lei piacciono le passeggiate mattutine? – chiesi sorridendo.

– A dire il vero stavo venendo da voi.

– E’ successo qualcosa al suo padrone?.

– Stanotte dice di aver sentito ancora il fantasma e che non gli ha fatto chiudere occhio.

– C’è stato un altro furto – chiesi cercando di emulare i modi di Holmes.

– Nulla. Lei cosa crede che debba fare?

– Per ora ritorni a casa sua. Parlerò con il mio amico e decideremo il da farsi.

Il maggiordomo si allontanò da me, ringraziandomi per la gentilezza. Ero dubbioso, credevamo che non esistesse nessun fantasma, ed invece c’era e addirittura disturbava.

Le ore trascorsero velocemente e all’ora stabilita ritornai a casa. Pochi minuti dopo rientrò anche Holmes, che non sembrava affatto felice.

– Mi sono sfuggiti, ma almeno so da dove venivano – iniziò a dire.

–A chi si riferisce?

– Il veleno sull’ago non è di queste parti. Proviene sicuramente dal Sud–America, infatti fino a ieri era ormeggiata, al porto di Shoream, una barca proveniente dal Venezuela.

– Crede che siano stati loro ad uccidere il vagabondo?

– Non ne avevano alcun motivo, ma se non sono stati loro, allora chi?

– La in formo, comunque, che poche ore fa ho incontrato il maggiordomo Wilson. Non credo che le interesserà, ma sembra che il fantasma sia ricomparso e non abbia fatto chiudere occhio al signor Philipson.

– Forse….c’è qualcosa che mi sfugge. Ho tutto davanti, ma non riesco a metterlo in ordine–.

All’improvviso delle urla, provenienti da fuori, attirarono la nostra attenzione. Era il maggiordomo che stava gridando i nostri nomi.

– Signor Holmes, signor Holmes. Venga la prego.

– Cosa è successo? Si calmi!

– Il signor Philipson è morto.

– Morto? Ma non è possibile – fu l’unica cosa che riuscii a dire.

– Calmatevi – intervenne Holmes. – Andiamo subito alla villa.

Quando arrivammo sul posto si era radunata, attorno alla villa, una piccola folla. Tra di essi riconobbi anche l’agente che il giorno prima era venuto ad annunciarci la morte del vagabondo. Accompagnati da Wilson e dallo stesso agente, entrammo nella casa.

L’agente Correy, così si chiamava, ci portò nello studio del piano terra, facendosi largo tra i familiari affranti della vittima.