che al Museo di Storia Generale c'era ancora una guarnigione di agenti di Scotland Yard, che stazionavano per la sorveglianza.L'unico modo di raggiungere più in fretta possibile il museo trascinando a peso morto il dottor Watson ed evitando di essere visti era di passare attraverso il sistema fognario. Aveva visto poco distante dalla finestra che aveva forzato per penetrare all'interno della fabbrica una botola in ferro che dava alle fogne. Si infilò là dentro dopo aver recuperato una delle lanterne ed aversi caricato in spalla il povero Watson dormiente. Mentre attraversava quei bui e maleodoranti cunicoli, pensava a come si era evoluta tutta quella maledetta vicenda e anche a come sarebbe stato meglio per lui ora se Watson non avesse avuto quella sua sfrenata passione per le ciambelle alla crema. Un quarto d'ora dopo il dottore riprese conoscenza, e Holmes ne fu veramente lieto. Watson si chiese subito cosa ci faceva in un cunicolo fognario assieme a Sherlock Holmes in mutandoni, ed il suo amico gli spiegò per filo e per segno come erano andate le cose. «Quello che più mi irrita - diceva - è che sono giunto a sventare l'ennesimo piano criminale del professor Moriarty per puro caso, partendo da considerazioni sbagliate su una vicenda del tutto estranea. Per questo, caro Watson, non voglio che pubblichi questa vicenda, intesi?» «Certo, se questo è il suo volere… Quindi la spada di Takeshi non c'entra niente? Allora chi l'ha rubata, e perché?» «Non lo so, forse una volta tanto quel buono a nulla di Lestrade l'ha imbroccata.» «Accidenti, Holmes, quando usciremo da questa fanghiglia che mi inzacchera tutto?» «Fanghiglia?» disse Holmes. In quel momento Watson ricordò di trovarsi in un sistema fognario. «Comunque, - soggiunse l'investigatore - siamo quasi arrivati. Se non ricordo male com'è fatta la nostra città, credo che dovremmo trovarci proprio sotto al Museo.» Videro un tombino, e salirono le scalette per uscire finalmente all'aperto. Quando però passarono nell'ambiente superiore, non si ritrovarono in strada come si aspettavano, ma all'interno di un angusto locale, a malapena illuminato dall'unica, debolissima, luce stellare che filtrava attraverso una piccola finestra con inferriate posta su una parete quasi in cima al soffitto. La stanza sembrava non avere altro accesso che quel tombino, giacché nessuna porta si intravedeva su nessuna delle pareti. Ma quello che più li stupì era come quella stanza si presentava ai loro occhi. Essa era stata addobbata come un piccolo tempio orientale, con tanto di arazzi appesi raffiguranti creature fantasiose, simboli esoterici e immagini di antichi samurai. Una delle pareti ospitava un piccolo altare al centro del quale era posta una statua di Buddha; ai lati di questa due incensieri recavano ancora le ceneri di una precedente accensione. Ai piedi dell'altare, in una piccola pozza di sangue, c'era una gallina trapassata da parte a parte da una curva spada da samurai, la spada di Takeshi sparita tre notti prima dal museo! Il manico era stato aperto, e si vedeva ancora una discreta quantità di polvere bianca giacere al suo interno. Altra si vedeva sparsa sull'altare e tutto intorno. «Guardi, Watson, sembra che qualcuno qui abbia celebrato qualche strano rito esoterico, ma chi può essere stato?» «Elementare, Holmes! - disse Watson non senza una punta d'orgoglio - Da Henry Muller, il guardiano del museo.» «Beh, per quanto abbastanza probabile, è pur sempre una supposizione, come fa ad esserne così certo?» «C'è qui una tavoletta d'argilla con il suo nome inciso nove volte!» rispose Watson tutto tronfio. Sherlock Holmes borbottò qualcosa d'incomprensibile, mentre prese la tavoletta e si mise ad osservarla, quando ad un certo punto udirono alle loro spalle uno strano rumore come di un grosso oggetto pesante che si stava spostando per terra. Spensero rapidamente la torcia e si acquattarono entrambi sotto l'altare nascondendosi dietro al telo che lo ricopriva. Attraverso la trama della stoffa riuscirono a vedere che dalla parete di fronte un pesante pannello di pietra stava ruotando su sé stesso aprendosi come un portale. Un arazzo affisso alla parete ne celava la presenza. Ne videro entrare un uomo molto magro, non troppo alto, che recava con sé una candela ed era bardato con una quantità inimmaginabile di amuleti, che vibravano e tintinnavano tutti in seguito al tremore dell'uomo. Stava recitando delle formule che ai loro orecchi parvero senza dubbio giapponesi. Quando fu un po' più dap