incredulità, poi scosse la testa e disse: «Ah, queste cose deve avergliele dette il direttore del museo!» «Si sbaglia, Watson. Questo è esattamente quello che ho detto al signor Berger stamattina quando mi ha portato questo oggetto prima ancora che mi avesse raccontato la sua storia, confermando ogni mia deduzione. È tutto ciò che è possibile dedurre dalla sua osservazione. Il nome Takeshi Hirozuma è inciso in cima al fodero in piccoli caratteri ideografici, insieme al termine shizoku che in lingua giapponese indicava un samurai appartenente ad una casta nobile.» «Ma…» lo interruppe Watson. «So quello che sta per dire: lei non conosce gli ideogrammi giapponesi, ma le dirò che neanch'io li saprei riconoscere tutti a memoria. Ho scritto una piccola monografia, peraltro, sull'argomento, che è esposta su quel mobile insieme alle altre ma… certo… se non aveva una lente non avrebbe neanche potuto interpretare quei minuscoli segni! A parte questo, come lei sa, i samurai erano soliti portare le loro spade in spalla. Osservi ora quanto è lungo questo fodero: se pensiamo che quest'uomo doveva avere una presa comoda, se ne deduce che solo il tronco doveva essere lungo all'incirca ottanta centimetri, il che fa pensare che l'altezza totale doveva aggirarsi perlomeno sui due metri. Guardi ora bene le due facciate più larghe del fodero: noterà che una di esse è più scolorita dell'altra, segno che per lungo tempo essa è stata posta di fronte al sole, certamente davanti ad una finestra. Il fatto, poi, che fosse stata appesa ad un muro si deduce osservando la polvere depositata negli interstizi delle raffigurazioni: copiosa sul lato concavo e praticamente inesistente nel lato convesso, il che fa capire che esso stava appeso in posizione orizzontale.» «Semplicemente grandioso, caro Holmes. Come al solito lei è riuscito a stupirmi. Ma… e la gallina? Io ho osservato solo del sangue, come fa lei a dire che si tratta di una gallina?» «Ho detto probabilmente, ma ci sono buoni motivi per crederlo, guardi!» Holmes s'infilò una mano nella tasca per prendere la sua lente, poi si accorse di averla lasciata al museo. Allora andò a prendere quella di riserva. Non appena aprì la scatola in cui era riposta, esclamò: «Watson, Watson! Perché mi ha detto di non aver usato la lente quando invece si vede benissimo che l'ha presa?» Il dottore alzò gli occhi al cielo, poi confessò tutto e chiese scusa al suo amico. «Ma come ha fatto a capirlo? - aggiunse poi - L'ho messa esattamente nella stessa posizione!» «Le ditate, Watson! Guardi le impronte che vi ha lasciato!» disse mentre ripuliva la lente con un panno. Poi riprese: «Osservi il punto in cui si trova la macchia di sangue. Incastrata in una scheggia del legno vi è un minuscolo frammento di piuma, certamente di gallina!» «Perché non di piccione, o di tacchino?» «Perché non ho mai visto piccioni o tacchini di quel colore in questa zona, e comunque ho poi avuto la conferma della mia ipotesi. Adesso, mio caro Watson, lei deve vestirsi perché il signor Berger ci sta attendendo al museo. Nel frattempo io provvederò a chiamare una carrozza e strada facendo le racconterò la strana storia legata a quel fodero.» Il dottor Watson si vestì prontamente mentre Holmes prese con sé il fodero della spada e, aperta una finestra, fermò un cocchiere che passava di sotto. Quando Watson fu pronto Holmes richiuse la finestra e mentre uscivano dal salotto diede un'occhiata alla credenza emettendo un borbottio incomprensibile. Giunto alla porta si rivolse alla signora Hudson e disse: «Sono spiacente, signora Hudson, ma debbo trattenerle dallo stipendio il costo di una zuccheriera e di una tazza del mio servizio preferito!» L'anziana governante ebbe un sussulto, poi disse, rassegnata: «Sì, certo signor Holmes!» Salirono in carrozza ed il dottor Watson chiese: «Ma come ha fatto a scoprire il danno?» «Suvvia, Watson! Non perdiamoci in chiacchiere inutili! Sono anni ormai che usiamo la stessa zuccheriera ogni mattina; quando stamattina ne ho vista un'altra mi è sorto un dubbio; mi è bastato dare un'occhiata alla credenza, contare le tazze e sommare due a due per ottenere quattro!» «Due più… ehm… sì, certamente, Holmes!» «Ascolti quanto sto per dirle, piuttosto! Stamattina, mentre lei ronfava beato, è venuto in casa nostra il signor William Berger, il direttore del Museo di Storia Generale di Londra, portando con sé il fodero che abbiamo appena esaminato. Questa mattina, alle sei in punto, due ore prima dell'apertura al pubblico,