Se c'è nella letteratura poliziesca un mistero più enigmatico di un delitto commesso in una «camera chiusa» il lettore alzi la mano. Nessuno, vero? Già, è difficile superare le soglie del mistero fino al punto di riuscire ad attirare l'attenzione di chi legge oltre una soglia sprangata. Ma non è impossibile creare situazioni sempre più complicate, in cui un cadavere è rinchiuso all'interno di una stanza ermeticamente sigillata. Hanno provato in tanti a creare nuovi metodi del genere: da Ellery Quenn (Il re è morto; Una stanza per morirci), Van Dine (Lo strano caso del signor Benson) a Gaston Leroux (Il mistero della camera gialla) - iniziatore assieme a Poe di questo genere in un racconto poliziesco -, fino a quel genio di John Dickson Carr (1906-77) - o Carter Dickson, o ancora Carr Dickson. Lo scrittore americano - biografo di Conan Doyle - è certamente più bravo a inventare nuove soluzioni per scoprire omicidi avvenuti in camere chiuse. Fino al punto di sviluppare un vero e proprio trattato sul genere all'interno del romanzo Lettore, in guardia! Le sue opere sono dense di sfumature psicologiche sui personaggi, ma soprattutto di enigmi raffinatissimi e apparentemente insolubili. Vere e proprie trappole mortali per la vittima, le «camere chiuse» sono un mistero per tutti, tranne che per l'assassino e per il Dottor Gideon Fell o per Sir Henry Merrivale, i due detective più scombiccherati mai apparsi su di un libro, ma efficaci nella soluzione dell'insidiosissimo problema. E alla fine del racconto per il carnefice, una volta identificato, non resterà che contare le ore che mancano per condurlo alla forca. Forca, e non camere a gas o sedie elettriche, poiché Carr ha ambientato le sue storie nelle umide, cupe e tenebrose nebbie londinesi e qualche volta ha fatto uno strappo per la più soleggiata Parigi, città in cui lavora il Giudice Istruttore Henry Bencolin. Scrittore "classico" della narrativa poliziesca, Dickson Carr avrebbe oggi novantanove'anni. E, se fosse ancora in vita, sarebbe certamente un tipo brioso, spiritoso, e a volte un po' satiro come il suo Sir Merrivale. Carr ebbe il pregio di non aver mai annoiato il lettore, creando per lui una scrittura scorrevole e infinitamente coinvolgente, come le proprie opere. Opere con l'iniziale maiuscola, poiché un testo di Carr non può mancare nella biblioteca di un cultore di "gialli". Il motivo è semplice, il giallista americano sapeva creare un alone di mistero che costringe ancor oggi il fan di turno a leggere tutto di un fiato il volume fino all'ultima pagina. Per poi ripercorrerlo per meglio gustarne alcune scene, che non è detto debbano essere per forza quelle più poliziesche. Si può ad esempio rileggere una descrizione dei vari Gideon Fell, Henry Merrivale o del gagà Henry Bencolin e godere di essa pensando a come potrebbero apparire nella realtà. Immaginate il Dottor Fell: eccezionalmente grasso e con più doppi menti, sempre avvolto in un mantello nero, e con in testa un cappellaccio floscio, che assieme a occhi assassini e un paio di baffoni, lo fanno apparire un brigante. Aggiungeteci poi due bastoni da passeggio e vi apparirà un personaggio fine '800 più che un dotto studioso di crimini degli anni '30/50. Ma non si sottovaluti il suo acume, le proprie capacità di osservazione, la sua giaculatoria ingannevole a volte raffinata, a volte più vicina al linguaggio portuale. Una parlantina che si trasforma in prosopopea se Fell si sta scolando qualche pinta di birra. Gli fa da eco Sir Merrivale, anche lui gran bevitore, ma soprattutto sottaniere impenitente, terribilmente grasso quanto acuto, e a volte scurrile, criminologo dilettante. Giudice, patologo, medico, Merrivale - detto anche «H.G.» o «il Vecchio» - è un ciarliero volpone, esperto sia di camere chiuse come di soprannaturale, problemi in cui si diverte a smontare, come un bambino un giocattolo, i vari pezzi del mistero. Di spirito battagliero, veri britannici per nascita e carattere, i due eroi si fanno beffe dei criminali come dei propri amici, perché per loro è più spassoso incastrare in logorroiche spiegazioni le loro "spalle" più che l'assassino. Fell soprattutto, che può sembrare un po' svampito, ma è solo una delle sue innumerevoli singolarità. Come per il suo modo di agire del tutto personale: deambulando per le camere chiuse di turno o sedendosi pesantemente su poltrone che a fatica contengono la sua mole. Pone continue domande che poi ripete, a costo di apparire rimbambito, appunto. Si percuote la fronte imprecando e alla fine scodella la soluzione, dopo averla tratta - apparentemente - dal suo mantellaccio, come se fosse un prestigiatore. Suo contrastare è il Giudice Bencolin che arrotonda lo stipendio come investigatore indipendente. Eccentrico in tutto, ma in special modo nell'abbigliamento, Bencolin è come un libro aperto: se veste semplicemente è per divertirsi, se invece indossa lo smoking significa che è "immerso" in un caso. Se poi indossa un abito elegante e afferra il bastone da passeggio in argento è pronto a passare all'azione. Tra lo snob parigino e gli scapestrati detective britannici c'è un abisso: tanto è elegante, raffinato e suadente Bencolin, quanto smargiasso e gaudente è Merrivale e istrionico e sfuggente Fell. Messi assieme sarebbero un disastro per il criminale, ma diverrebbero un sano divertimento per i numerosi e avidi lettori delle loro gesta rocambolesche.
John Dickson Carr
Novantanove anni fa nasceva John Dikson Carr, il maestro dei delitti nelle «camere chiuse»
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Rubrica Non solo Holmes...
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