Sono convinto che ogni narratore pulp abbia più di un’anima, più di un universo cui attingere. Io ho sposato la causa della narrativa popolare da quasi venticinque anni e, alla fine, sono riuscito a scrivere almeno un racconto per ogni genere. Anche se la mia ispirazione principale è avventurosa, legata all’azione sia nella spy story che nell’hard boiled che nella fantascienza, nell’horror, nel fantasy e persino nel western, da sempre coltivo anche altri interessi.
Il Giallo e il Mistero così come mi suggestionavano da bambino in televisione o nei romanzi, hanno creato lentamente un mondo a sé, se vogliamo piuttosto differente da quello che pratico d’abitudine ma ugualmente amato. La differenza principale sta nello status dei protagonisti.
Se è pur vero che l’ispirazione mi suggerisce quasi sempre caratteri forti e reattivi nella mia produzione più action, tendo a raccontare storie di “professionisti” siano essi spie, delinquenti, spadaccini o pistoleri. Il fascino del Giallo e del Mistero sta, oltre che nell’atmosfera nell’intreccio in cui la violenza fisica è raramente esercitata come forza risolutrice da parte dell’eroe, proprio nel fatto che questi è una “persona normale”. Non esercita abitualmente una funzione che lo porta a stretto contatto con il delitto. Vi viene trascinato per caso, proiettato in situazioni da incubo: per sfortuna o macchinazione. Reagisce psicologicamente in maniera vigorosa perché questa è la sua natura e anche un po’ quella del suo autore, ma non ha a disposizione conoscenze o tecnologie che lo inseriscano nella trama come un habitué del pericolo. Qui, credo che nasca la molla dell’identificazione con il lettore. Che poi non è sempre (come a volte si vorrebbe credere nei circoli che i libri li producono, ma non li leggono e, spesso, non li rispettano) sempre univoco nei suoi gusti.
Come accade a me, penso succeda a molti lettori, a volte di aver voglia di perdermi in un romanzo identificandomi nel super agente e invece, altre, di lasciare che almeno inizialmente l’aderenza a ciò che siamo nella vita di tutti i giorni sia più stretta. E qui, il caso, l’intrigo, forse la suggestione cominciano a cambiare il mondo intorno a noi rivelando ombre e misteri che a volte sanno di magia e sovrannaturale ma che, alla fine, rivelano sempre una spiegazione logica.
L’unico elemento lasciato veramente all’irrazionale, al fantastico è il comportamento umano, i sentimenti. Ed è l’intreccio tra l’immanente sensazione che esista un mondo “oltre”, il trucco di chi di tale suggestione cerca di approfittare e l’inestricabile groviglio dei sentimenti, spesso legati agli affetti familiari, a creare un universo affascinante. Quello del Giallo e Mistero come lo intendo io.
Per raccontarvi un po’ la mia esperienza ho scelto di analizzare alcune di quelle storie che mi colpirono da ragazzo, affascinandomi e stimolando un diverso sentiero della mia fantasia.
Chi non ricorda con un fremito le apparizioni di Belfagor, il fantasma del Louvre? Io vidi qualche puntata – forse nemmeno tutte – dello sceneggiato TV in una riproposta tardo pomeridiana sul finire degli anni ’60... La prima diffusione italiana data il 1966 (un anno dopo quella francese) e sicuramente ero troppo piccolo per averla seguita. Ricordo però di quelle repliche, viste e commentate con entusiasmo alle elementari, grandi emozioni, soprattutto l’impressione generata da quelle immagini di un Louvre riprodotto forse non in maniera fedelissima ma sicuramente suggestiva.
Di tutto l’intrigo, delle vicende sentimentali tra André Bellegarde (Yves Rénier), Colette (Christine Delaroche) e Luciana (Juliette Gréco) (che in originale era Laurence) poco ci capivo e poco mi importava. L’emozione predominante era il mistero, la paura dell’ignoto, la maledizione di un demone antico. Rividi lo sceneggiato una decina d’anni fa e forse più in videocassetta e, forse per la qualità non eccellente del filmato, magari perché la fantasia aveva negli anni costruito tutta una mitologia intorno a quella storia partendo dagli spunti che avevo recepito da bambino, ne rimasi un po’ deluso. La storia mi pareva macchinosa, il fantasma non era veramente un fantasma, insomma preferivo quel crogiuolo di fantasie che mi ero coltivato partendo da una visione parziale negli anni dell’infanzia.
Uscì poi nel 2001 un film di Jean-Paul Salomé che scimmiottava un po’ La Mummia e che, a parte Sophie Marceau, era peggio che andar di notte, come si dice. Un’orribile baracconata. Ho recuperato recentemente una versione rimasterizzata dello sceneggiato che, vista in una sola serata (quasi tre ore di film) invece mi ha restituito tutto il fascino della prima volta, suggerendomi nuove strade di approfondimento, spunti originali che mi erano sfuggiti. A tal punto da rivedere completamente il giudizio.
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