Giallisti siamo tutti, anche se oggi magari non è più di moda dirlo.
Prima che, ventiquattro anni fa, partecipassi a Nero Italiano, l’idea di essere un autore noir (con quella sfumatura francese che ingenuamente vorrebbe richiamare una narrativa più alta e magari socialmente più consapevole) non mi passava neanche per la testa. Da ragazzino leggevo un po’ di tutto: dal western, all’avventura, alla spy story, ma certamente vedevo e leggevo moltissimi gialli. Italiani e non. Perché se è pur vero che negli anni d’oro i vari editor delle collane specializzate escludevano la possibilità che il nostro paese fosse un set ideale per una vicenda mystery (salvo magari poi scriverle loro passando però per la porta della Letteratura) la produzione italiana è sempre stata copiosa e di qualità.
Con il trascorrere degli anni i miei interessi e la mia strada professionale si sono indirizzate in maniera sempre più netta verso la narrativa popolare in tutte le sue espressioni. Una produzione senza esclusione di colpi con incursioni persino nella fantascienza, genere da me forse non molto conosciuto ma all’occasione sposato con entusiasmo. E poi horror, romance, western, prediligendo, è vero, Avventura, Spy-story e Hard Boiled che poi è una versione dinamica del Noir più classico.
Ovviamente anche Giallo, come lo intendevo io, logicamente.
È sempre stata mia convinzione che, sebbene in Italia di gialli se ne siano sempre scritti e di ottimi anche, siano stati televisione e cinema (tralasciando momentaneamente i fumetti che poi introdurrebbero più al nero criminale che al mystery) a influenzare maggiormente gli autori delle ultime generazioni. Per me sono stati fondamentali. Sia in TV – e qui non posso esimermi dal citare le opere dell’amico Biagio Proietti ma anche di tanti altri Daniela D’Anza per primo con Il segno del comando – che sul grande schermo. Al thrilling (una storpiatura tipicamente nostrana per indicare quel genere che oggi viene etichettato in tutto il mondo come Italian Giallo) sono particolarmente affezionato. Ne sono un cultore e un collezionista.
Anni fa proprio per Il Giallo Mondadori curai un’antologia intitolata Il mio vizio è una stanza chiusa che storpiava un famoso film di Sergio Martino proprio per mostrare come la visione, a volte compulsiva, di quei film che ebbero una ragione d’essere nella struttura del cinema italiano – quando esisteva... – avessero avuto su di me un influsso particolarmente importante. Scelsi di affidare ad amici e colleghi la parte narrativa del volume preferendo cimentarmi in un piccolo saggio che è diventato un classico trai cultori del filone.
Nel frattempo mi venivano chiesti romanzi brevi e racconti per un’iniziativa di Confidenze, rotocalco diffusissimo, generalmente indirizzato a un pubblico in cerca di emozioni del cuore ma che voleva tentare saltuariamente la strada del giallo. Le regole erano semplici. «Mica il Professionista, eh?» mi disse scherzosamente la direttrice che già temeva eccessi di sesso e di sangue che avrebbero condannato la mia carriera di giallista. Certo che no. Del resto uno spazio per quel genere di avventure già l’avevo. Mi si offriva invece la possibilità di sperimentare, di avventurarmi in un genere che sempre avevo amato ma raramente praticato. Avrei scritto dei thrilling non strettamente argentiani. Un po’ un mix tra quelle suggestioni televisive giovanili (nel frattempo recuperate e studiate) e l’Italian Giallo che è un fenomeno che va molto al di là del prodotto argentiano e che si suddivide in cento filoni differenti toccando l’erotico, il complotto di famiglia, la storia di follia, persino il giallo-rosa.
Scrissi così Io sono la tua ombra, un thriller ambientato in un paesino dolomitico che ben conosco e che, in seguito ha avuto una versione più lunga in versione ebook, tanto da diventare un romanzo breve. Con mia grande sorpresa non solo piacque alla redazione ancor prima che alle lettrici (una squadra di redattrici molto attente al rispetto di invisibili ma necessari paletti) ma mi riuscì facile e divertente. Attingevo dalla mia memoria mescolando come sempre suggestioni reali e fantastiche di tempi diversi, sino a cucinare il mio piatto. Dove però nei modelli (soprattutto cinematografici) il sangue scorreva a fiotti e c’era qualche perversione in più, tagliavo, riducevo. Niente sgozzamenti in scena, infine. Se la formula era buona e la tensione c’era, non ve n’era bisogno.
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